Dopo il complicato biennio della pandemia, con i mercati in caduta e l’impegno per la ripresa di tutte le filiere, il mondo agricolo e dell’agroalimentare sta di nuovo facendo i conti con altre difficoltà, forse anche peggiori, per il fatale connubio tra necessità di veloce ripresa e radicale rialzo dei costi delle materie prime e dell’energia. Senza contare le preoccupazioni per la guerra in Europa. Il generale clima positivo, innescato dall’atteso ritorno alla “normalità” e garantito anche dall’ormai prossima edizione di Lombardia Carne, non riesce proprio a rasserenare le nubi su un domani che mai è stato tanto imperscrutabile e, anche, pericoloso.

Ne abbiamo parlato con il presidente di Confagricoltura Brescia Giovanni Garbelli, impegnato, insieme a tutta l’Unione provinciale agricoltori, a ricercare soluzioni rapide e risolutive che possano offrire garanzie di ripresa e redditività per il futuro delle aziende agricole.

Presidente, l’agricoltura bresciana ha segnato un rialzo del 10 per cento lo scorso anno, ma conflitti e mercati in subbuglio oggi mettono paura. Riesce a fare una panoramica della situazione?

Dopo due anni di difficoltà a causa della pandemia, la sensazione diffusa è che il contesto, oggi, sia ancora peggiore, per l’assoluta incertezza che regna a tutti i livelli, a partire dall’agricoltura. Alla corsa folle dei costi delle materie prime e dell’energia, che ha subito un’accelerata enorme con la guerra in Ucraina, si è aggiunta anche la difficoltà nel reperimento dei mangimi e nelle materie prime necessarie alla loro produzione.Stiamo parlando di cifre pesanti nella nostra provincia, dove oltre 1,3 milioni di suini, circa 450 mila bovini e più di 7 milioni di avicoli rischiano di restare senza alimentazione. Inoltre, di recente, sta venendo alla luce anche un’ulteriore criticità, legata alle tensioni del mercato dei fertilizzanti, mettendo così a rischio i nuovi raccolti. Lo stop delle esportazioni da Ucraina e Russia, nonché azioni di protezionismo da parte dell’Ungheria, sono i principali motivi di questa situazione drammatica che stiamo vivendo.

Il rischio è quello dunque di un “effetto cascata”, che andrà inevitabilmente a coinvolgere tutti i settori della filiera agroalimentare: quali soluzioni si possono adottare?

In una situazione straordinaria servono misure straordinarie. È il momento, senza perdere un solo minuto, di spingere al massimo i raccolti di cereali e semi oleosi nell’Unione Europea, modificando le regole vigenti. L’aumento della produzione è indispensabile per compensare il blocco delle importazioni da Ucraina e Russia e lo stop ungherese. A rischio è l’intera filiera, che dovrebbe prendere coscienza della drammaticità del momento. Per questo tutto il settore agroalimentare va incluso tra quelli destinatari dei provvedimenti del Governo per il caro energia: cereali e semi oleosi sono diventati un asset strategico esattamente come lo sono gas e petrolio, ma con la differenza che nell’Unione Europea abbiamo il potenziale per aumentare rapidamente la produzione agricola. Vanno quindi rimossi, in vista dei nuovi raccolti, i limiti all’utilizzo dei terreni agricoli.

“Chi fa da sé, fa per tre” recita un celebre motto. In effetti il nostro Paese, e in particolare le aree della Pianura Padana, potrebbero sfruttare, come già in parte accade, i reflui zootecnici per produrre energia; penso soprattutto al biogas. Sono strade percorribili nell’immediato o serve ancora del tempo per completare questa transizione?

Il biogas, come giustamente citato, costituisce una tecnologia capace portare enormi vantaggi in tutti i sensi ma, come spesso accade, burocrazia ed autorizzazioni continuano a pesare moltissimo e le mitigazioni richieste sono davvero enormi, a differenza di quanto accade per la realizzazione di poli commerciali o industriali. Ci vorrebbe maggiore equità e ci vorrebbe che il Pnrr accelerasse il processo, trovando indici di riferimento che consentano all’impresa di fare impresa. Oggi risulta difficile tracciare strategie a lunga gittata, l’economia e la società stanno cambiando a ritmi rapidissimi.

La questione legata alla difficoltà dell’import di materie prime ha messo in luce quanto il nostro Paese dipenda dall’estero. Sono pensabili strategie in controtendenza?

Confagricoltura è da sempre al lavoro per contrastare l’idea della delocalizzazione della produzione in altre aree fuori dai confini nazionali, anche se operare in Italia, causa tasse, burocrazia e demagogia, è diventato sempre più complicato. Chiediamo al Governo una presa di coscienza e un’operatività rapida per quanto sta succedendo: fino a ieri si pensava di ridurre le coltivazioni in Italia, oggi ci rendiamo invece contro che, con la guerra in Ucraina, abbiamo solo quaranta giorni di autonomia per i cereali e che mancano le coltivazioni. È un bene che in Europa ce ne siamo accorti, anche se in ritardo. Per questo servono le deroghe, per garantire la sicurezza alimentare e per ripristinare la capacità produttiva italiana ed europea.

Leonardo Binda