Rovato può vantare una storia artigianale molto interessante e decisamente poco studiata. Pare che l’arte di fabbricare orologi da torre qui fosse antichissima. Anche il Fappani parla di un tale De Prestino che alla fine del XIV sec. e agli inizi del XV avesse iniziato a fabbricare questi marchingegni nella nostra borgata, il quale avrebbe realizzato un orologio meccanico in piazza Vecchia a Brescia, distrutto nel XVII secolo, e uno simile proprio a Rovato (anch’esso andato perduto).

Pare che una tale attività sia perdurata nel tempo, senza molta fortuna evidentemente, almeno finché venne ritirata nel 1811 da Stefano Boldini di Saviore, sceso a Rovato dalle nostre vallate. Fatta amicizia con l’ab. Angelini, anche lui appassionato di meccanismi, nel 1816 collocò l’orologio del nostro Ospedale e pochi anni dopo quello parrocchiale. Nel 1833 assunse un giovane garzone di S. Pellegrino (Bg), Carlo Frassoni (1825-1879), che imparò l’arte e nel 1854 sposò la figlioccia del Boldini, ereditando così l’attività. 

L’Orologeria Frassoni è stata una delle attività storiche rovatesi più famose e fu proprio Carlo ad ampliarla ed a trasferirla in via Larga nel 1862. Alla sua morte aveva realizzato più di 300 orologi! L’azienda sembrava destinata a finire con lui, visto che il giovane figlio Giovanni (1862-1929) aveva solo 17 anni. Ma questi riuscì ad amministrarla bene con l’aiuto degli allievi di suo padre. Con lui l’azienda vendeva in tutta Italia e anche all’estero, con una media di produzione annuale di 40 orologi. Questo bel risultato obbligò l’azienda ad accomodarsi in un ambiente più ampio in via S. Vincenzo, nel 1905, con macchinari elettrici e più moderni. Tra i lavori più impressionanti di quest’epoca, c’è l’orologio per la torre del Bramante di Vigevano, del diametro di 14 metri!

Come per molte altre aziende, la Grande Guerra del ’15 – ’18 obbligò la conversione dell’attività in produzione di munizioni per l’artiglieria: migliaia di shrapnel con ogive da 65mm e shrapnel da 75 mm uscirono dalla fabbrica rovatese per raggiungere i fronti di guerra.

Finalmente nel 1919 si tornò a fabbricare orologi e l’azienda poté ampliarsi nel 1929, nonostante la crisi della “Quota 90” e la Grande Depressione. Fino al 1925 la ditta Frassoni aveva realizzato più di 2000 orologi e dal 1925 al 1930 ne piazzò altri 250 solo in Italia, ma i suoi macchinari finirono anche in Vaticano, India, Belgio, Venezuela, Bolivia, Argentina.

Con la morte di Giovanni la ditta passò al figlio Carlo (1885-1937), che fu anche volontario di guerra, capitano di bersaglieri e attivo esponente del PNF. In seguito l’attività passò aò figlio Giovanni (1927-1965), ma l’improvvisa scomparsa di quest’ultimo indusse la giovane vedova Sonia, ad affidare la conduzione della ditta nel 1966 all’ing. Angelo Turati. Poi fu gestita dal 1978 da Luigi Dotti, fino alla chiusura definitiva dello stabilimento e alla cessazione della produzione nel 1996.

Insomma, in qualsiasi parte d’Italia in cui potreste recarvi, è molto probabile che se alzate lo sguardo per leggere l’ora su un campanile, state guardando un quadrante Frassoni. Ormai è storia, ma a breve sarà forse possibile veder collocati quei meccanismi nel nuovo plesso culturale in costruzione a fianco della biblioteca. Infatti, la Scuola Ricchino ha già acquistato e restaurato diversi orologi Frassoni, a cui dovrebbero aggiungersene altri recuperati da un professionista di Erbusco. Non resta che attendere e… contare le ore.

Alberto Fossadri