Domenica 8 e lunedì 9 giugno gli italiani sono stati chiamati alle urne per esprimersi su cinque quesiti referendari, quattro dei quali riguardanti il lavoro e uno la cittadinanza. L’affluenza è rimasta ben al di sotto della soglia di validità prevista dalla Costituzione: il quorum non è stato raggiunto. Anche a Rovato i numeri parlano chiaro: ha votato il 24.44 % degli elettori (3.261).
Vediamo in dettaglio i risultati:
Reintegro nei licenziamenti illegittimi: ha vinto il Sì con una percentuale del 85,80% rispetto all’14,20% dei No. L’affluenza locale è del 24.44%.
Utilizzo dei contratti a termine: ha vinto il Sì con una percentuale del 83,13% rispetto all’16,87% dei No. L’affluenza locale è del 24.39%.
Licenziamenti e indennità nelle piccole imprese: ha vinto il Sì con una percentuale del 85,36% rispetto all’14,64% dei No. L’affluenza locale è del 24.42%.
Subappalti e infortuni sul lavoro: ha vinto il Sì con una percentuale del 81,66% rispetto all’18,34% dei No. L’affluenza locale è del 24.43%.
Cittadinanza italiana: ha vinto il Sì con una percentuale del 58,69% rispetto all’41,31% dei No. L’affluenza locale è del 24.43%.
Sempre a Rovato, l’ultimo quesito — che avrebbe dovuto rappresentare un momento almeno potenzialmente unificante per l’area del centrosinistra — ha ottenuto 1.875 voti, ben al di sotto dei 2.279 raccolti complessivamente dalle liste di centrosinistra alle elezioni comunali del 20 settembre 2020.
In generale il quesito che avrebbe dovuto fungere da traino di queste consultazioni si è miseramente infranto contro la realtà implacabile delle urne. L’ambizione di dimezzare i tempi per ottenere la cittadinanza, pensata come leva simbolica e catalizzatrice della partecipazione popolare, si è rivelata invece l’anello più debole: un proposito rimasto tale, fragile e inascoltato.
Una débâcle annunciata, che conferma la profonda crisi dello strumento referendario, oggi ridotto a un mero espediente tattico. Emblematica, in questo senso, la contraddizione insita in uno dei quesiti sul lavoro, dove il Partito Democratico proponeva l’abrogazione di norme che esso stesso aveva introdotto e difeso con vigore. Il riferimento è al Jobs Act, la riforma del lavoro varata nel 2015 dal governo Renzi con il compatto sostegno del PD: proprio quelle norme che introdussero maggiore flessibilità e limitarono la reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo. Oggi, gli stessi promotori ne chiedevano la cancellazione.
La verità è amara: il referendum abrogativo si è trasformato in un’arma spuntata, logorata da anni di uso strumentale e svuotata della sua funzione originaria. E gli elettori, da parte loro, non sono né pigri né disinformati. Semplicemente, hanno compreso il meccanismo. La loro non è astensione per ignavia, ma per ribellione. Una nausea accumulata nel tempo, alimentata da una frattura crescente tra il corpo elettorale e il sistema politico.
Mauro Ferrari