È stata anche quest’anno un’edizione di successo, la 20^ ormai, a dimostrazione che la formula pensata dagli organizzatori è vincente; stiamo parlando della “Micro Editoria”, la rassegna culturale dedicata ai libri, e non solo, che si svolge annualmente nella città di Chiari. Una tre giorni (11-12-13 novembre scorsi) che ha visto come centro della manifestazione Villa Mazzotti. Numerose le attività e gli eventi concentrati in questo breve arco di tempo: gare di lettura, dibattiti, interviste, conferenze su tematiche letterarie e sociali, attività per bambini e ragazzi, laboratori, mostre, concorsi letterari, ecc.

Molti i nomi eccellenti nell’ambito delle interviste e conferenze su temi di grande attualità come la guerra, la criminalità, i problemi sociali. Tra gli interventi più seguiti: Nicola Gratteri, Toni Capuozzo, Raffaele Mantegazza, Nicolai Lilin, Andrea Purgatori e altri.

Una delle prime interviste, seguita con grande partecipazione dal pubblico, è stata quella condotta da Alex Corlazzoli (giornalista de “Il Fatto Quotidiano” scrittore ed insegnante) a Nicola Gratteri: saggista, magistrato, e Procuratore della Repubblica di Catanzaro; da moltissimi anni è impegnato nella lotta alla criminalità ed alla ‘ndrangheta calabrese.

Gratteri racconta della sua scelta, una volta vinto il concorso di magistrato, di rimanere nella sua terra, la Calabria, per fare qualcosa di utile per essa e quindi contrastare la ‘ndrangheta. Alla domanda posta da Corlazzoli se avesse paura, così ha risposto: «La paura la avverto, ma bisogna addomesticarla; perché bisogna imparare a ragionare con la morte, discutere con essa. Solo così facendo tu la superi. Bisogna sempre razionalizzare e capire se, quello che fai, ne vale la pena rispetto ai rischi che corri. Devi avere chiari gli obiettivi e tirare dritto».

Figlio di persone semplici semianalfabete e proveniente da un paesino calabrese di duemila abitanti, dice di dover ringraziare il suo lavoro se è riuscito, negli anni, a girare tutto il mondo e parlare con persone importanti. «Chi lo avrebbe mai detto? – continua il Procuratore – Per me vale la pena vivere la mia vita con dei rischi, non conosco il domani, ma finora ho vissuto bene, sono sempre stato un uomo libero perché mi posso permettere il lusso di dire sempre quello che penso soprattutto verso chi è al potere». Non ha paura del potere perché si è costruito una vita da solo, senza dover dipendere da nessuno; la libertà, secondo lui, è costruirsi una vita senza avere bisogno di alcuno, senza dover chiedere a qualcuno. Per fare questo ci vuole molto sudore, tanto sacrificio ed il prezzo da pagare è altissimo. Essere libero gli è costato il posto alla Procura Nazionale Antimafia.

Parlando di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino le descrive come persone completamente diverse ma che avevano in comune l’amore per la loro terra, la Sicilia, ed il fatto di essere molto intelligenti: capivano le cose in anticipo, molto tempo prima degli altri, suscitando invidia nei colleghi che poi si è trasformata in ferocia. Molti di coloro che ora salgono sui palchi a commemorarli li hanno in realtà combattuti in vita. La morte di Falcone fu inaspettata ma si era certi di quella di Borsellino che, pur essendone consapevole, ha continuato a rimanere al suo posto ed a portare avanti il suo lavoro. Borsellino cercava i mandanti della strage di Capaci e per questo si recava a Roma per capire come funzionavano le “stanze del potere” e trovare il filo d’Arianna, il capo della questione. Appuntava tutte le cose importanti della giornata in una agenda rossa che, dopo la strage di via d’Amelio, fu sottratta dalla scena del crimine da una persona che agì in modo lucido mentre ancora c’era il panico per l’esplosione. Aggiunge Gratteri su quegli eventi: «Quando mi chiesero cosa ne pensassi delle stragi? Ho risposto che, chi ha l’agenda rossa, è in grado di ricattare ancora e che in quell’agenda, molto probabilmente, ci sono indicati i mandanti della strage di Capaci».

Altro tema affrontato è stato quello del radicamento della mafia nel nord Italia; il Procuratore fa un excursus storico partendo dalle attività criminali già gestite dalla criminalità organizzata come, ad esempio, il riciclaggio del denaro sporco nei casinò; spiega poi come, il consolidamento nelle piccole e medie imprese lombarde e delle altre regioni del nord, sia avvenuto per concessione degli stessi imprenditori ingordi che hanno consentito ai criminali di diventare soci delle proprie attività. Non sono riusciti a capire che questo sarebbe stato solo l’inizio della fine di quell’attività, perché la mafia non mira solo ad arricchirsi ma a gestire e controllare. Parla poi dei meccanismi di infiltrazione della criminalità nella pubblica amministrazione, soprattutto dei piccoli paesi.

Per combattere la mafia bisogna che vi siano meno ideologie, più concretezza e più leggi atte a gestire al meglio le situazioni in cui un comune viene commissariato. Il mafioso oggi è un professionista che sa parlare bene e interagisce andando a pranzo e cena nei luoghi più in vista della città per dialogare col mondo delle professioni; è accolto nella classe dirigente e nella borghesia perché è un imprenditore di successo, sa parlare bene, si sa comportare bene. Le mafie oggi sono perfettamente inserite nel tessuto sociale ed economica ed accettate socialmente da tutti quasi fossero una cosa normale.

Parla infine del tema della legalizzazione delle droghe rispondendo a tutte le teorie di coloro che sono a favore, spiegando innanzitutto di come le droghe di oggi non siano come quelle di ieri e che, anche se fossero legalizzate le droghe leggere, le organizzazioni criminali continuerebbero i loro affari con altre e più remunerative tipologie di già  droghe presenti sul mercato. Le prime, più economiche, hanno inoltre l’obiettivo di portare a consumare le seconde e a creare una sempre maggiore dipendenza.

Gli viene posta infine un’ultima domanda: “Come vede il futuro nella lotta alla criminalità organizzata? Questa la risposta del magistrato: «Per la lotta alle mafie molto dipende dal potere politico, non basta solo un’azione di sensibilizzazione culturale; attualmente non riesco a vedere nella politica un progetto, un qualcosa di sistematico per far sì che delinquere non convenga più».

Concludendo possiamo così riassumere la persona di Nicola Gratteri: un grande magistrato e procuratore, un uomo che ama il proprio lavoro, con la schiena dritta e che non deve favori a nessuno, un uomo che ha scelto la libertà. Un grande esempio per tutti. Un magistrato che, la mattina dopo la conferenza, si è alzato alle 5:00 per lavorare e che alle 8:15 girava già per i corridoi dell’Istituto Superiore Einaudi di Chiari per incontrare i ragazzi della scuola e poter dialogare con loro; questo perché crede ancora in un futuro migliore e nelle nuove generazioni. Quanti procuratori o magistrati si comportano allo stesso modo?

Emanuele Lopez