Certo che di strada ne ha percorsa il Premio di Pittura “Treccani degli Alfieri”, idea ambiziosa avuta da Giacomo Zamboni alla fine anni Cinquanta, divenuta realtà nel 1960 con la prima edizione, una scommessa e una sfida ampiamente vinte. Vinte forse perché l’arte, sotto i sei colli, nella plaga ubertosa della pianura padana, non è parola sconosciuta, è linfa e alimento della cultura: e se la città di Brescia si impone con le sue mostre a Santa Giulia, Montichiari, nel suo piccolo (ma non troppo) mette in risalto nel mese in corso quale omaggio a uno dei suoi figli più illustri, Treccani degli Alfieri appunto, quanto non sia stato meno fecondo, ricco, vivace il suo rapporto con il mondo dei colori. Del resto sono passati da qui Repossi e Garosio, Stagnoli e Cottini, Paracchini e quel Bergomi che dal 2004 dà il nome al museo demologico presso il Centro Fiera dove sono custoditi oltre 6mila oggetti del mondo agricolo alpino e padano. 23 le edizioni complessive, l’ultima nel 2017, tenutesi per gran parte nella “bomboniera” monteclarense, il Teatro Sociale oggi Bonoris, per poi “traslocare” in Galleria Civica con qualche tappa anche al Museo Lechi. Un pot pourri di stili, accresciuti negli ultimi anni con un ampliamento alla scultura, alla fotografia e ai video, attorno ai quali hanno discettato, discusso, si sono confrontati giurati provenienti da mezza Italia oltre che esperti e cultori d’arte locali. Mezzo secolo e più di pittura, un viaggio nel microcosmo monteclarense che è un po’ anche un percorso a più riprese nei movimenti che si sono affacciati, taluni timidamente talaltri più imponenti, sul Secondo Novecento e nel nuovo millennio. Da venerdì 2 maggio (inaugurazione alle ore 17) sino a fine mese, sotto la curatela di Federico Troletti, direttore di Montichiari Musei, il sostegno dell’Amministrazione comunale e la collaborazione di Caleidoscopio, si parte alla scoperta delle chicche più interessanti, selezionate appositamente per far risaltare (e onorare) un Premio con tutti i crismi, uno spazio di bellezza e di memoria tutto da vivere. E in un’epoca tempestosa come quella attuale lasciarsi affascinare e attrarre da nature morte, ritratti, scorci di Montichiari (come quello che scelto per il manifesto della mostra) eternati sulla tela è un bel segno di speranza di cui c’è tanto, estremo bisogno.
Federico Migliorati