Livio Gambino è uno dei docenti entrati in ruolo questo anno scolastico, uno dei tanti che salgono dal Sud al Nord con un contratto in tasca e il cuore pieno di entusiasmo per una professione che è quasi una missione e per la quale affrontano il grosso sacrificio, economico e personale, di mettere centinaia di chilometri tra sé e la propria terra, lasciando affetti, radici, abitudini. Arrivato da Capaci (PA) a Montichiari in una notte di agosto del 2024, laureato in Lettere, è stato assegnato come insegnante di Sostegno all’IC2 Rita Levi Montalcini, dove ha svolto il suo anno di prova realizzando un progetto finale di grande creatività e valore educativo. Gambino ha avuto infatti l’idea di far ideare e scrivere alla sua classe un giallo dal titolo “Il segreto dell’idea perduta – Un giallo nella Parigi di fine Settecento”, una vera e propria opera letteraria, stampata e donata anche alla biblioteca di Montichiari (dove risulta reperibile per la lettura), che ha reso veramente protagonisti dell’apprendimento i ragazzi e messo in gioco creatività, sapere, cittadinanza attiva ed inclusione, valendogli anche il plauso della Dirigente Scolastica, professoressa Sabina Stefano. «Questo libro è il frutto di un lavoro collettivo, ma nasce anche da un ambiente scolastico che ha saputo riconoscere il valore dell’immaginazione come leva educativa e culturale – ha dichiarato Gambino – La nostra Dirigente scolastica ha avuto la sensibilità e la visione di vedere nel mio progetto un non limitarci ad “insegnare” la storia, ma a farla vivere, intrecciando sapere e creatività. Senza il suo sostegno, sarebbe stato difficile dar vita a una didattica così trasversale, in grado di mettere in dialogo letteratura, storia, arte, lingue e cittadinanza attiva, all’interno di una narrazione gialla ambientata nella Parigi del XVIII secolo, il cuore pulsante dell’Illuminismo. Il filo conduttore del libro è il concetto di idea, intesa non solo come intuizione investigativa, ma come scintilla che accende la mente e trasforma la realtà. In un’epoca in cui tuona il “Sapere aude!” di kantiana memoria, l’esortazione ad aver il coraggio di servirsi della propria intelligenza diventa un imperativo morale e ho voluto che i miei studenti si interrogassero su cosa significhi davvero pensare con la propria testa. I veri protagonisti di questo libro, però, sono i ragazzi. Non solo perché personaggi, ma perché ne hanno scritto brani, dialoghi, ambientazioni, imparando a muoversi dentro un’epoca complessa, facendola propria. Attraverso il gioco narrativo dell’indagine, hanno scoperto il valore della deduzione, della ricerca, del dubbio. Hanno fatto esperienza concreta di cosa significhi costruire senso insieme agli altri, di cosa significhi verificare informazioni in un periodo storico in cui ne sono travolti, spesso senza filtri. Il delitto è diventato un pretesto letterario per indagare la nascita della coscienza critica. Non si è trattato semplicemente di scrivere un giallo, ma di esercitare il pensiero. In questo senso, il libro è anche un atto d’amore verso la Scuola, intesa come luogo in cui le idee non solo si trasmettono, ma si generano. Insegnare, per me, non significa soltanto trasmettere contenuti, ma offrire orizzonti culturali. E la nostra scuola, sostenendo il mio progetto, ha dimostrato di essere viva, colta e coraggiosa: un luogo in cui si può ancora coltivare la bellezza del pensiero. Una nota di merito finale va a tutti i colleghi che mi hanno supportato e alla prof. Festa per aver curato le immagini insieme ai ragazzi».

Marzia Borzi