I precedenti quattro articoli sono stati una premessa per meglio comprendere quanto iniziamo a vedere da oggi. L’ho presa larga perché la trasformazione del territorio rovatese ha almeno 2000 anni di storia e non è possibile comprendere quanto lavoro di mente e di braccia abbiamo ereditato, condensandola in mezza pagina di giornale. Oltremodo non è facile immaginare la nostra terra per come poteva presentarsi allo stato selvaggio, agli occhi di un legionario romano o di un monaco cluniacense, senza dare delle precise indicazioni. Perciò se mi avete seguito fin qui, ora cominciamo a far quadrare il cerchio.

Anni fa ho iniziato un percorso di analisi della vasta documentazione catastale di Rovato. Ho fotografato per intero decine di registri e sommarioni degli estimi, ognuno dei quali con almeno 3/400 pagine di grande formato. Ho trascritto interamente il catasto napoleonico (circa 4.600 particelle) ed ho aiutato don Gianni Donni e gli altri compagni del corso di ricerca storica a trascrivere interamente l’Estimo Generale del 1641. Tutto questo materiale permette di fare una serie di studi che probabilmente non sono mai stati condotti per altri comuni bresciani. Considerando anche il lavoro fatto da Ivano Bianchini sullo “Scartafaccio” del Peroni di fine ‘700, Rovato potrebbe presto vantare una serie di analisi che svelino la sua evoluzione territoriale dal tardo Medioevo ad oggi.

Una delle certezze che abbiamo sempre saputo è la presenza di paludi ed acquitrini sparsi sul territorio di Rovato, soprattutto in campagna, ma non solo. Mossi dalla curiosità di sapere dove fossero e di quantificarne l’estensione, nei limiti del possibile, don Gianni ha prima cercato sull’estimo del 1641 tutte le proprietà che mostravano la presenza di paludi, moie, lame, guadi, trepoli, stagni… poi, a ritroso, sulla base di documenti più antichi già scandagliati da altri studiosi come Spada, ha trovato la connessione di alcuni di questi fondi con il toponimo di riferimento. Senza tediarvi con metodologia e tecnicismi, sappiate che prima dell’ideazione del catasto “particellare”, ogni terreno era identificato con un nome che veniva tramandato dai proprietari, trascritto negli estimi, e quasi sempre citato negli atti notarili. Questi nomi si trascinavano nel tempo, variando di pochissimo nel corso dei secoli. È una caratteristica dell’epoca contemporanea quella del rapido mutamento della toponomastica, non comune invece al regime antico. La peculiarità sta nel fatto che gli antichi avevano poca fantasia e spesso nominavano i terreni appena dissodati e bonificati, con una caratteristica che era propria di quel fondo prima di essere messo a coltura: castagnolo, ceresa, ceresino, pero, saliceto ad indicare la presenza di particolari varietà di flora; dosso, pianone, forcella, valloni ad indicare conformazione del terreno; eccetera. Senza volerlo, in questo modo i nostri avi ci hanno tramandato una fotografia del territorio come appariva un migliaio di anni fa. Sulla base di quei nomi così ben identificati cartograficamente dal Peroni nel suo Scartafaccio, tenendo conto del catasto del 1641 e del particellare napoleonico, ho individuato tutte le zone che richiamavano la presenza di un terreno soggetto ad impaludamento.

La rappresentazione cartografica che ne ho tratto è il risultato dell’incrocio di tutti questi dati, distanti fra loro anche due secoli. Le zone umide sono evidenziate in verde e sono delimitate entro confini rintracciabili solo grazie allo Scartafaccio e al napoleonico. Ho numerato ciascuno di essi e, grazie ad altri dati, in alcuni contesti è possibile anche stabilire come sia avvenuto il processo di bonifica. Lo scopriremo meglio con i prossimi articoli, ma già così è evidente che nel passato almeno 1/5, se non 1/4, del territorio di Rovato è stato una palude o un’area soggetta a impaludamento periodico. Abbiamo perciò la misura del lavoro fatto dalle generazioni che ci hanno preceduti, e se ci pensate, il lavoro non è del tutto finito: ricordo che uno dei temi caldi dell’azione comunale è il problema del torrente Carrera… se siamo degni dei nostri padri, è nostro dovere risolverlo.

Alberto Fossadri