Prima parte

PREMESSA

In questa pagina espongo quanto ricordo dei primi anni del dopoguerra. Penso di far seguire a quanto scrivo, altre vicende a completamento di ciò che ora si legge. Una lettura affrettata e superficiale potrebbe indurre a ritenere questa pagina una rievocazione partigiana o parziale; sarà quindi utile ricordare e confrontare, nella complessità delle varie direzioni, tutti i fatti e le aspirazioni di quegli anni, avvalendosi di tanti documenti ormai acquisiti da fonti diverse.

RICORDI LONTANI NEL TEMPO

E così sono 78 gli anni nei quali abbiamo potuto vivere nella vera democrazia costituzionale.

Anche a Rovato, dopo il ventennio fascista, per la prima volta si tornava a votare per la scelta del governo dei paesi.

Primo cittadino sarebbe stato il Sindaco eletto dal popolo, non più il Podestà voluto dal regime; eravamo al 10 marzo 1946 e, novità assoluta, avrebbero potuto partecipare al voto anche le donne dai 25 anni in poi.

Al termine degli scrutini risultò primo partito la Democrazia Cristiana con 2579 voti, indi il Partito Comunista (972), che si era presentato con i Socialisti (821) e con gli Azionisti (191).

A seguire i Repubblicani (92), Uomo Qualunque (258), Liberali (105) e Unione Democratica Nazionale (254).

Fu eletto a sindaco l’avvocato Andrea Cazzani, che si sarebbe poi avvalso degli assessori Livio Perani, Manenti Francesco e Antonio Rossi.

Periodo buio a causa anche della criticità politica e contingentale.

L’odio iniziò a schiumare sulla ragione; la disoccupazione era in tutti i campi di lavoro, stavano ancora tornando uno a uno i tanti prigionieri di guerra da tante parti del mondo.

Ricordo bene che, uno dei primissimi lavori decisi dalla giunta comunale, fu la strada oggi carrozzabile che dalla piazzetta laterale il convento dell’Annunciata raggiunge la cima del Monte Orfano, dove si trovano la croce e il monumento.

Prima era un ridotto sentiero tra i rovi.

Eppure qualcosa cominciava a muoversi: l’inizio del mulino Piantoni, lavori al Silos laddove vi erano le ferrovie, imponente consorzio più volte mitragliato e bombardato in tempo di guerra.

Il Comune nel periodo invernale distribuiva centinaia di minestre; monsignor Zenucchini apre il “Refettorio del Papa” dove per un mese si distribuiscono trecento minestre.

Ma i bisogni e la fame sono tanti, il lavoro è per pochi, ragionare nel bel mezzo di povertà e miseria è pressoché impossibile.

Nel frattempo di cotanti e difficili problemi da risolvere si era inserita la politica, prima del tutto sconosciuta, e con quella, nel pacioso paese di Rovato, arrivarono cattiveria e odio.

Scrive monsignor Zenucchini nel suo diario: “…si accentua la propaganda politica i Social Comunisti vogliono assolutamente impadronirsi del Comune, non si sente che cantare Bandiera Rossa…me l’aspettavo, ma non credevo che giungessero a tal punto. Su tante case hanno stampigliato la falce e il martello e la stella rossa e su alcune di queste anche iscrizioni offensive”.

Personalmente, ne ricordo una in via Santo Stefano 21 dove ,sulla parete, evidenziavano 17 di tali disegni.

A volte bastava sapere o pensare che fosse abitato da persona o famiglia di opposto pensiero politico, soprattutto Democristiana, che scattava risentimento o odio da additare alle genti.

Il marchio, già, stesso modo degli untori in tempi di peste di manzoniana memoria. Questi “lavori” erano sempre di notte proprio come le uscite degli uccelli rapaci.

Erano oramai d’uso anche i discorsi politici, prevalentemente in piazza Cavour.

Il Partito Comunista aveva come punte di diamante tali Italo Nicoletto e Irene Coccoli; due oratori molto importanti, in seguito eletti al Parlamento. Il primo per la vigoria espressa con gesti e parole, la seconda che pareva voler emulare quella tal rivoluzionaria spagnola degli anni 30, ricordata nella storia come la “passionaria”.

E al termine di ogni comizio il canto in coro: “Avanti popolo alla riscossa…bandiera rossa trionferà..” e su il braccio a mostrare il pugno. Tutto doveva dimostrare forza. E poi tante voci quasi a invocare: “Zio Peppino, vieni, vieni a liberar”. Per chi non lo sapesse, quello zio era Iosif “Giuseppe” Stalin, quello che prima della guerra aveva deciso per lo sterminio di 7 milioni di contadini ai quali prima aveva promesso la terra; lo stesso che dopo ne eliminò più del doppio solo perché forse avversari politici (vedi il libro di Aleksandr Solženicyn, “Arcipelago Gulag” 1958-1968).

Intanto si continuava a volume spiegato con musiche marziali russe che tanto fanno fremere anche oggi.

Lo stupendo inno dei lavoratori “socialista”, che poi pochissime volte si era udito.

Quello Italiano del Mameli, stava ancora aspettando nel ventre di “Mamma Italia” perché sconosciuto.

E quando piazza Cavour toccava ai “bianchi” Democristiani, si riempiva ancor di più. Qualche battimano nient’altro.

Nulla da confrontare non avendo i D.C. manco l’inno di partito, patetici, forse.

Gli avversari dislocati in zona a irriderli con scherno, sembrava li volessero aiutare in modo beffardo canticchiando sottovoce, ma in modo udibile, l’aria della preghiera: “Noi vogliam Dio, Vergine Maria…”.

Poco tempo dopo i bianchi inventarono l’inno di partito: “Oh oh bianco fiore, simbol d’amore, con te la gioia della vittoria….”.

Tanta dolcezza nessuna marzialità ma, onestamente, profetici nelle urne.

Tre mesi dopo si arrivò al 2 giugno; gli italiani furono ancora chiamati al voto per decidere con un referendum se mantenere la monarchia di casa Savoia o voltare pagina, promuovendo costituzionalmente un nuovo stato repubblicano. La maggioranza degli italiani votò Repubblica.

La provincia di Brescia pure in tal maniera, Rovato, diversamente e controcorrente, vota a maggioranza in favore della monarchia (2892 contro 2578).

Poca propaganda, animi non surriscaldati.

TENSIONI PER TIMORE DI RIVOLTE

Ma la situazione sociale si aggrava sempre di più, il fattore politico alimenta fuoco; le parole “Rivoluzione Comunista” serpeggiano; sembra incredibile, ma così è stato.

Siamo da poco usciti da una disastrosa guerra a causa della quale stiamo ancor soffrendo pesantemente scotto, e già una ideologia politica propugna lotta fraterna!

L’inverno 1946-1947 cominciò da ottobre, tristemente micidiale per la crudezza del freddo.

E nella società tanta povertà, miseria e insicurezza del domani.

Monsignor Zenucchini scrive di alcune famiglie che da Pola, dall’Istria, son arrivate da noi per sfuggire alla persecuzione anti-italiana di Tito. I rovatesi, si preoccupano ancor di più. Dall’Emilia Romagna arrivano notizie di vendette politiche, si dice che sono migliaia i morti e le persone fatte sparire, soprattutto nel “triangolo rosso” configurato nelle provincie di Reggio Emilia, Ferrara e Bologna.

Fine prima parte, continua… Tarcisio Mombelli Serina

(Trascrizione a cura di Stefano Toscani,  adattamento a cura di Emanuele Lopez)