Matasse di filo spinato, proiettili, bombe, fucili: i reperti della Prima Guerra Mondiale, rimasti sepolti nei ghiacciai alpini più di cent’anni fa, oggi stanno emergendo a causa del diffuso ritiro dei ghiacciai ed entrando a diretto contatto con i torrenti alimentati dalle acque di fusione glaciale.  Per affrontare una possibile contaminazione emergente di metalli pesanti, le ricercatrici e i ricercatori del MUSE – Museo delle Scienze e dell’Università di Ohio hanno condotto l’analisi chimica delle acque di fusione di tre ghiacciai trentini (Lares, Presena e Amola – gruppo Adamello-Presanella) e la ricerca di contaminanti (metalli pesanti) nelle larve di insetti che le popolano (tutte appartenenti al genere Diamesa). I ghiacciai analizzati sono luoghi che furono teatro del primo conflitto mondiale tra Italia e Impero austro-ungarico.

Così ha commentato le attività di Studio il Prof. Gabriele ArchettiPresidente Fondazione Cogeme ETS che ha sede a Rovato: “La collaborazione con il Muse è stata avviata anni fa e rafforzata dalla parallela connessione con Acque Bresciane, società a noi molto vicina per affinità di gruppo aziendale. A distanza di anni, ancora oggi, siamo convinti che la ricerca abbia bisogno di supporto stringendo relazioni delle più diversificate. Siamo orgogliosi, dunque, di aver appreso questi significativi risultati prodotti dal team coordinato dalla d.ssa Lencioni e del Muse e di poterli diffondere sui nostri territori”

Lo studio ha indagato gli inquinanti lasciati in eredità sulle Alpi dal più alto fronte della Prima Guerra Mondiale e il loro potenziale impatto sugli ecosistemi glaciali. Per farlo, il team di ricerca ha quantificato 31 elementi mediante spettrometria di massa nell’acqua e nelle larve del moscerino Diamesa zernyi provenienti dai tre torrenti glaciali analizzati. Gli elementi rinvenuti nelle acque dei torrenti sono stati interpretati utilizzando il fattore di arricchimento crostale che determina quali siano gli elementi maggiormente concentrati rispetto al valore di fondo dato dalla composizione della crosta terrestre), mentre l’assorbimento larvale è stato quantificato adottando il fattore di bioaccumulo (che è il rapporto tra la concentrazione nell’animale e la concentrazione nell’acqua). Dati alla mano, sono stati osservati arricchimenti, da bassi a moderati, per Sb (antimonio) e U (uranio) sul ghiacciaio del Presena e per Ag (argento), As (arsenico), Bi (bismuto), Cd (cadmio), Li (litio), Mo (molibdeno), Pb (piombo), Sb (antimonio) e U (uranio) sul Lares.  Inoltre, le concentrazioni degli elementi nelle larve sono risultate fino a novantamila volte superiori rispetto a quelle dell’acqua. Le larve prese e raccolte nel torrente Lares hanno accumulato la maggior quantità di metalli e metalloidi, compresi quelli maggiormente utilizzati nella fabbricazione di proiettili d’artiglieria (arsenico, rame,nichel, piombo e antimonio).Tra questi, rame, nichel e zinco rientrano tra gli elementi essenziali per la vita, ma le concentrazioni osservate nelle larve dei siti più contaminati superano quelle attese per il fabbisogno  (se così non fosse la loro concentrazione sarebbe identica o confrontabile nelle tre popolazioni studiate).

“I moscerini che abbiamo studiato – spiega Valeria Lencioni, coordinatrice dell’Ambito Clima ed Ecologia del MUSE – sono gli unici insetti che riescono a colonizzare le gelide acque dei torrenti glaciali, dove le condizioni ambientali sono considerate estreme per la vita. Il cibo è scarso e le larve hanno l’intestino pieno di limo glaciale che fissa sulla propria superficie i metalli e li può veicolare nel corpo dell’animale. Si nutrono probabilmente dei batteri che crescono sulla roccia, essendo scarsi o assenti alghe e il detrito organico. Le specie del genere Diamesa sono considerate indicatrici di glacialità e sono minacciate di estinzione dai cambiamenti climatici che alterano l’unico ambiente in cui sono adattate a vivere”. “I dati raccolti – conclude Lencioni – destano preoccupazione per il nichel, accumulato in una concentrazione vicina a quella considerata critica per la sopravvivenza di altri insetti testati in laboratorio (es. il moscerino del genere Chironomus)”.  I metalli “bellici” sono stati bioaccumulati maggiormente nelle larve provenienti da siti più vicini al fronte di guerra, con effetti ancora sconosciuti sul loro metabolismo e sulle possibili ricadute sulla catena trofica nei tratti più a valle. Questi risultati forniscono prove preliminari della contaminazione delle acque e del bioaccumulo di metalli e metalloidi da parte della fauna glaciale come possibile eredità della Prima Guerra Mondiale nelle Alpi.

Mauro Ferrari