Nel 1773, un gruppo di coloni americani travestiti da nativi, facendo seguito ad insistenti richieste di maggiori libertà da parte delle allora colonie britanniche dell’America settentrionale, decisero di gettare in mare centinaia di casse di tè, dando il via agli eventi che portano alla Rivoluzione Americana.

Durante quell’evento, passato alla storia come Boston Tea Party, risuonava una semplice frase, il motto di questi “ribelli” che di lì a poco avrebbero fatto la storia del loro Paese: “no taxation without representation”, ossia “niente tassazione senza rappresentanza”. 

Come sicuramente noto ormai a tutti, i prossimi 20 e 21 settembre, in tutta Italia, gli elettori sono chiamati ad esprimersi sul progetto di riforma costituzionale che prevede il taglio di circa un terzo del numero dei parlamentari (si parla di un passaggio, alla Camera, da 630 a 400 Deputati e, al Senato, da 315 a 200 Senatori). Un appuntamento importante, come ogni occasione di voto del resto, ma che ci impone una riflessione. 

A parte la compagine politica che ha promosso l’iniziativa referendaria, ossia il Movimento5Stelle, quasi tutte le altre forze politiche, tranne il Partito Democratico, sembrano propendere per il No.

Insomma, una scelta che risulta poco influenzata dalle inclinazioni delle singole forze politiche e che, di conseguenza, si sbilancia fortemente verso l’opinione personalissima di ciascuno di noi, nell’ottica di una valutazione compiuta dei pro e dei contro di una simile riforma. 

Ebbene, analizzando qua e là dichiarazioni e pareri, sono essenzialmente due i campi di battaglia su cui si battono i vari schieramenti, cercando di far prevalere, alla luce del buon senso, la propria opinione su quella altrui. In primis il tema dei costi: meno parlamentari, meno spesa. 

Matematico, del resto.

Ma non bisogna mai dimenticare che meno parlamentari significa meno rappresentanza, meno incisività sui territori, a fronte, peraltro, di un risparmio non così incisivo. 

Per risparmiare, a rigor di logica, si potrebbe anche semplicemente tagliare la spesa in sé piuttosto di chi ne è la causa. 

Secondo tema è quello dell’efficienza: meno parlamentari significherebbe meno lungaggini nel processo legislativo. 

Una verità a metà, per certi versi, poiché l’efficienza non è necessariamente da ricercare nei piccoli numeri quanto piuttosto in una complessiva revisione del sistema amministrativo e nomopoietico, di modo da renderlo più snello e competitivo, garantendo maggiore autonomia agli enti territoriali, come le Regioni, e scegliendo, con un pizzico di coraggio, di approvare leggi elettorali che consentano di eleggere con chiarezza il rappresentante di ogni singolo territorio. 

Insomma, le argomentazioni sono molte e così i motivi che ci possono far propendere per una soluzione piuttosto che per l’altra. 

Certo dunque rimarrà per sempre il monito di quegli illuminati rivoluzionari americani che chiesero con forza di poter eleggere delle figure che li sapessero compiutamente rappresentare in un Parlamento democraticamente eletto, in quanto cittadini e contribuenti, al fine di slegarsi dalle catene di una tirannia all’epoca manifesta, un domani, forse, irriconoscibile. 

Chi vuol esser lieto sia, del doman non v’è certezza. 

Leonardo Binda