Circa cinque anni fa, la Cassa Rurale ed Artigiana di Borgo San Giacomo, varava un ambizioso progetto di grande interesse economico e culturale: reintrodurre la coltivazione della vite nella valle dell’Oglio (la notizia è apparsa anche su Paese Mio di settembre 2019). L’ideatore del progetto è Sergio Bonfiglio, attuale presidente dell’ente coperativo gabianese.

Con l’importante e decisiva collaborazione dell’Univer-sità Cattolica di Piacenza, Facoltà di agraria, nella persona del prof. Stefano Poni, sono stati fatti degli studi pedologici, tramite una quarantina di carotaggi del terreno, per individuare i luoghi più idonei ad accogliere gli impianti sperimentali dei vitigni (sei varietà di uve rosse). 

La ricerca è approdata alla scelta di due campi di circa un ettaro ciascuno: uno ad Acqualunga e l’altro a Borgo San Giacomo (cascina Bina). I due terreni furono vitati entrambi con gli stessi vitigni. L’autunno prossimo ci sarà la prima raccolta dell’uva: una piccola parte sarà utilizzata per le analisi, l’altra verrà trasformata in vino (previste circa seimila bottiglie). Venerdì 25 ottobre si è tenuto un convegno presso il salone della Cassa rurale per fare il punto sul progetto. In questa occasione lo storico Gian Mario Andrico ha illustrato alcuni documenti  del tardo trecento che attestavano la coltivazione della vite nel territorio gabianese.

Avendo, da spettatore, partecipato al convegno, son venuto nella risoluzione di scrivere un articolo in cui proporre alcuni documenti che comprovano la coltura della vite nel comune di Orzinuovi. Detti documenti (senza alcuna pretesa di esaustività) coprono un arco temporale di sette/otto secoli, ovvero dal IX secolo ai primo anni del XVII secolo.

Il Polittico di Santa Giulia

Il documento più antico che ho rinvenuto con informazioni sulla cultura della vite a Orzinuovi è il Polittico di Santa Giulia. Avverto il lettore che in questo contesto per Polittico non si intende una pala d’altare suddivisa in più scomparti, bensì un “registro o inventario (originariamente formato da più tavole o fogli) nel quale venivano descritti i beni appartenenti a uno stesso proprietario”. Tra il IX e il X secolo la badessa del monastero di Santa Giulia di Brescia, avvertì la necessità di un inventario delle proprietà del monastero. Incaricò degli ispettori (inquisitores o extimatores), i quali censirono, recandosi nei vari luoghi, le numerose e notevoli proprietà (curtes) dislocate soprattutto, ma non solo, nell’Italia settentrionale. Le relazioni dei vari inquisitores furono trascritte in un documento, noto come “polittico di Santa Giulia”. Tra le curtes censite c’è Obeningus, concordemente individuata in Ovanengo. 

Di questa corte si elencano le varie colture; tra queste una “vinea ad anforas  VIIII” ovvero un “vigneto che produce 9 anfore di vino” (circa 2 ettolitri, ma essendo controversa la capacità dell’anfora, la produzione potrebbe essere di molto superiore). Questo per quanto riguarda la parte della proprietà (“pars dominica”) amministrata direttamente dal convento tramite un amministratore (“scario”). Dell’altra parte della proprietà data in “affitto”, suddivisa in undici appezzamenti (“sortes”), non viene fornita la produzione di vino, ma solo la percentuale di prodotto (la metà, “vinum medium”) che deve essere consegnata al convento come canone d’affitto (ovviamente insieme ad altri prodotti e all’obbligo di giornate lavorative gratuite da parte dell’affittuale nella parte dominica, le cosiddette corvées).

Gli statuti orceani del 1341

Un salto temporale di qualche secolo e ritroviamo gli Statuti di Orzinuovi del 1341, cioè un insieme di leggi e regolamenti che organizzavano la vita politica e normavano aspetti della vita civile ed economica. Tra le numerose disposizioni dedicate alla vita dei campi, ce ne sono tre che parlano esplicitamente della coltura della vite: i capitoli 148, 149, 150 (la numerazione è riferita agli originali conservati nell’Archivio di Stato di Brescia). Il primo vietava di portare l’uva nell’abitato prima del tempo fissato (“nisi fuerit tempore colectionis dictarum … uvarum”). Il cap. 149 prevedeva una multa per coloro che, prima del tempo stabilito, portavano nella rocca del mosto o dell’agresto (prodotto ricavato da uve non mature utilizzato in cucina): nessuno osi “portare mustum nec agrestum in castro”. La quarta parte della multa veniva concessa a chi denunciava il fatto. Il cap. 150 vietava di vendemmiare o di far vendemmiare prima della festa di S. Maria della vendemmia (“s. Marie de vendimia”, cioè il 15 settembre). 

La supplica del 1547

Le opere di fortificazione della cittadella, seguite alla sconfitta di Agnadello del 1509, provocarono parecchi disagi e inconvenienti alla comunità orceana. Nel 1547 venne inviata a Venezia una supplica in cui si denunciavano alcune problematiche, dovute ai lavori di fortificazione, con l’evidente intento di ottenere concessioni o indennizzi riparatori. Tra le lamentele ce n’è una che ci può interessare. Intorno al paese furono create delle spianate, ovvero una superficie che per motivi di sicurezza doveva essere tenuta sgombra da case, capanne, alberi, arbusti, cioè da qualsiasi cosa che potesse dare la possibilità al nemico di nascondersi. 

La comunità orceana lamenta che la creazione di “una spianata di mezo milio a torno a torno ad essa povera terra” aveva provocato, con “grandissimo danno”  la distruzione “de tante vigne”.

Le relazioni di Stefano Viaro e Benedetto Tagliapietra (1606-1608)

Lo status di fortezza di Orzinuovi comportava la presenza costante di soldati nella rocca. Il loro numero variava a seconda del pericolo di guerra con il confinante ducato di Milano, governato dagli Spagnoli: in momento di crisi militare raggiungeva anche le migliaia. Nel periodo dell’Interdetto (1606-1607) vi si trovavano “fin de mille e più fanti”. Questi soldati erano soliti bere il vino: “perché al soldato … il dargli da bever l’acqua che ivi è tutta cattiva sarebbe un disperarlo et un ammalarlo”. La quantità di vino consumata dai soldati e dagli abitanti era decisamente superiore alla produzione locale. 

“Facendone poco quel territorio delli Orzi”, attesta il Viaro, provveditore straordinario; più preciso il Tagliapietra, successore del Viaro: “non ne facendo  quel piccolo territorio [Orzi] per uso della terra per dieci giorni all’anno”. Da qui la richiesta al governo veneziano di considerare “che potrebbe essere di pubblico servitio et a quelli abitanti di molto comodo l’obligar tre o quattro ville che sono discosto dieci et dodici migli da quella fortezza, come sarebbe Erbusco, Rovado, Cucai et Cologne a portar qualche quantità delli lor vini in quella fortezza”.