Quanti dei nostri lettori, per congiunture d’età o di passione, hanno un ricordo vivido della Prima Repubblica?

Un periodo storico, un fenomeno storico, capace di incuriosire e di interesse anche dopo più di un quarto di secolo dalla sua tradizionale fine. Un patrimonio di memorie, di lotte intestine e di grandi ideali che hanno connotato anche la vita pubblica della nostra città.

Ebbene, a partire da questa edizione cercheremo di conoscere alcuni dei protagonisti di quegli anni, tanti venuti a mancare ma alcuni ancora presenti.

Per ragioni di contingenze storiche e di cronaca il periodo che prenderemo in considerazione sarà quello più tumultuoso, ossia dall’inizio delle imponenti contestazioni del Sessantotto fino al 1994, anno della tornata elettorale che tradizionalmente segna il solco con l’avvento della successiva “Seconda Repubblica”.  

Oggi protagonista della nostra intervista è Sergio Arminio. Docente di Matematica, classe 1946, Arminio ha seduto per più di vent’anni tra i banchi del Consiglio Comunale, storico esponente della Democrazia Cristiana cittadina. 

Come nasce la sua passione politica? Chi l’ha spinta ad avvicinarsi ai valori della Democrazia Cristiana?

La mia passione nasce grazie ad una persona in particolare, Don Vanni, il quale spesso invogliava noi ragazzi dell’oratorio ad interessarci della “cosa pubblica”. Un esempio importante, che mi spronava ad imparare la dialettica, ad essere disinvolto nel parlare in pubblico e a saper portare avanti i valori della forza politica a cui poi mi sarei avvicinato, la Democrazia Cristiana. In quegli anni, molto concitati, ero studente universitario a Brescia, in Cattolica, e potei sperimentare come il Sessantotto e i suoi ideali non fossero adatti a me, prediligendo spesso legarmi a posizioni più moderate rispetto agli estremismi tipici di quel periodo, con i quali la successiva politica dovette giocoforza fare i conti. 

Come fu la sua prima elezione e come mai decise di candidarsi a rappresentare il popolo Orceano? Che cariche ha ricoperto durante la sua permanenza in Consiglio? 

Il mio vero e proprio ingresso in politica avvenne proprio nei primi anni ‘70, quando Alfredo Giovannini, altro importante esponente della Democrazia Cristiana, che sarebbe poi stato anche Primo Cittadino, mi propose di candidarmi tra le fila del suo partito. Accettai la sfida e, dopo una breve delusione convinto di non essere stato eletto, dal momento che era stato commesso un errore nel conteggio delle preferenze, riuscii a conquistare, appena ventiquattrenne, il mio posto in Consiglio Comunale. 

Di lì in avanti il mio impegno è stato continuo per più di vent’anni, prima come Capogruppo della DC, poi come Vicesindaco ed Assessore al Bilancio, all’Istruzione e alla Cultura nel corso di numerose Amministrazioni che si sono susseguite, anche dopo la fine della Prima Repubblica, oltre che Presidente della Fiera negli anni ‘80. Tutti compiti veramente unici, che mi hanno permesso di crescere e di conoscere quanto sia stimolante impegnarsi per la propria comunità. 

Come descriverebbe i suoi anni da amministratore e che cosa è cambiato rispetto alla politica, anche e soprattutto locale, di questi tempi?

Intensi, penso sia la definizione più adatta. Tante cose sono cambiate da quei tempi, tante mentre io stesso ero amministratore.

Fu infatti negli anni ‘80 che lo Stato cominciò ad adottare politiche più accentratrici e con maggiori vincoli specie in questioni relative alla gestione finanziaria degli enti locali, lasciando ai Comuni sempre meno risorse con cui operare. Basti pensare che l’unica entrata su cui le casse municipali potevano contare in maniera ampia erano i cosiddetti “oneri di urbaniz-zazione”, che, dopo la crisi dell’edilizia, di fatto sono divenuti quasi inesistenti. Erano tempi diversi, senza dubbio. 

Le discussioni in Consiglio Comunale duravano ore ed ore sui temi più disparati e senza che mai nessuno si sottraesse al confronto. Ci si combatteva su temi nazionali e locali, con ottimi esempi di dialettica ma anche, talvolta, delle dimostrazioni di forza. Ricordo ancora bene come durante un Consiglio Comunale una mia dichiarazione avesse fatto tanto scalpore da portare gli allora colleghi del PCI ad abbandonare l’aula come segno di protesta. Insomma, ci piaceva ribadire le nostre convinzioni ma senza mai dimenticare il rispetto che ognuno di noi provava verso i propri alleati ed avversari politici. Un rispetto che derivava dalla nostra appartenenza, la quale mai si aveva timore di mostrare chiara ai nostri cittadini. Per noi era importante che dal Consiglio venissero comprese le opinioni delle varie forze politiche, le quali, a differenza di ora, in parte non avevano alcun rimorso a mostrarsi in sede elettorale. L’usanza di presentarsi come “civici” di questi decenni, ossia senza simboli di partito specie a livello locale, ha fatto sì che si perdesse incidenza sulla comunità e, a causa di questa frammentazione, non si sapesse mai con certezza verso quali convinzioni o ideali i cittadini potessero orientarsi. 

Una cosa di cui va particolarmente fiero e una che le ha lasciato un amaro ricordo della sua esperienza? 

Di bei momenti ce ne sono molti da ricordare. L’ultimo in ordine cronologico non è poi così distante, quando insieme all’amico Ennio Zanotti ci impegnammo per creare quello che oggi è conosciuto come Parco Unità d’Italia, nel villaggio Giardino, nel quale piantammo un esemplare per ogni essenza arborea che cresce nel nostro territorio.

Un simbolo importante verso il tema della tutela dell’ambiente, oggi molto attuale, e verso la necessità di mettere a contatto il mondo della scuola con quello della natura e delle sue bellezze. Il mio unico rammarico è senza dubbio il mancato acquisto dell’area dell’ex Bellometti, che come amministratori in quegli anni non riconoscemmo come così incisiva. Sarebbe stata come potrebbe essere in futuro una delle chiavi per sprigionare le potenzialità della nostra comunità, alla quale ho voluto dedicare la mia vita da amministratore e verso cui nutro un profondo senso di responsabilità e gratitudine.

Leonardo Binda