The end. Corrono i titoli di coda sull’esperienza più triste della storia scolastica. Un click sul tasto rosso della cornetta di Meet e tutto si è concluso. La fine è lo schermo che dopo tre mesi si fa nero su una scrivania, chiudendo una storia  non tanto dissimile ad un rapporto tra alieni, giocato tra un “non ti sento bene, la voce è a scatti, non ti vedo, ma l’importante è che tu mi senta”. Condannati tutti per tre mesi all’anoressia delle emozioni. La realtà infatti è che la movida ad un certo punto ha riaperto e la scuola no, regalandoci   quest’anno un fuori programma di una tristezza inaudita. Nessuna possibilità di sposare animi e corpi per tre mesi. E inoltre nessuna scritta “Fine” a caratteri cubitali sulla lavagna. Quella parola che  ha da sempre dato la soddisfazione di archiviare un anno per tuffarsi nell’estate incipiente, se la sono inviata gli studenti su whatsapp. Ma non ha avuto  lo stesso sapore di un bacio, degli abbracci, dei gavettoni che regalano sulla pelle la sensazione del mare che ci aspetta. E più che “Notte prima degli esami” viene da pensare che sia stata “Celeste nostalgia” di Cocciante la colonna sonora di questa anomala chiusura dei lavori. 

Si pensi solo al momento della fine dell’anno scolastico: al di là della promozione o della bocciatura, per chi finisce un ciclo, suggella un rapporto di fiducia costruito lungo il corso degli anni tra professori e alunni. Un rapporto quasi filiale e materno. Difficile quindi accettare che una carriera o un percorso fatto di emozioni condivise possa concludersi così, in una sorta di apnea dei sentimenti. Ci sono dei riti di passaggio che scandiscono le nostre vite e servono a creare un prima e un dopo, dei punti di riferimento nella lunghezza degli anni. Una sorta di forche caudine da attraversare per uscire e rientrare nella normalità. Dei semafori che da rossi diventano verdi e ti portano su una nuova strada. Ci è mancato questo momento per dare un significato alla fine e dare spazio al dopo. C’è da sperare solo che il mantra “Andrà tutto bene” a cui ci hanno abituato in questi mesi si riveli un vaticinio di successo almeno per il prossimo anno scolastico. E non una vana speranza.

Silvia Pasolini