La pandemia è arrivata laddove nessun evento storico era mai giunto: ha strappato a Montichiari i suoi protagonisti, ha tolto alla piazza la voce, la sua stessa essenza. Giovanni Nino Alberti era una di queste, la più acuta e la più nota, perfino tra quelli che monteclarensi non sono. Si è spento nel tardo pomeriggio del 14 maggio al-l’ospedale Civile di Brescia dove era ricoverato da giorni, dove il Covid ha avuto la meglio su di una tempra forte che non si era piegata nemmeno alle terribili sfortune che si erano ingiustamente accanite su di lui negli ultimi anni.

Si è spento compianto da tutti e da tutti rimpianto. Chi fosse Nino, come gli amici erano soliti chiamarlo, è quasi inutile ricordarlo.

Commerciante di una delle attività storiche del paese, era soprattutto un personaggio straordinario, un esploratore del territorio sia per curiosità personale, come quando all’età di undici anni scovò nella brughiera monteclarense un ordigno bellico e ottenne un encomio solenne dal Presidente della Repubblica, sia per generosità civica, qualità che lo spinse a prendere parte nonché a fondare molte realtà associative e culturali locali di notevole importanza quali il Cafè dei piöcc, le Botteghe del Centro, la Compagnia dell’ojo bù, il Gruppo Ginnastica, il premio Cecchino e il Castello Vivente da cui ha preso avvio l’attuale Maggio Monteclarense.  

Fautore della “Bolla Cam-panaria”, nel 1994 riuscì perfino a coinvolgere la popolazione a sostegno economico per il restauro delle campane raccogliendo ben 120 milioni di vecchie lire. Insomma Alberti era che il simbolo di quella Montichiari instancabile, che un tempo guardava con ambizione al futuro costruendo il proprio successo grazie al lavoro, ai sacrifici, al coraggio e a quel pizzico di follia che trasforma un’idea in un’impresa.

Ne aveva vista passare di storia il Signor Nino davanti al suo negozio e la raccontava volentieri, soprattutto se riguardava il mercato e la gente che lo animava con le osterie che fin dall’alba si affrettavano a preparare i piatti tipici locali, trippa e baccalà, il cui profumo aleggiava per tutta la Piazza, con i giocatori delle tre scatolette che truffavano i più creduloni, con le grandi ubriacature, le “bale”, le “sciombe”, che rendevano ciarliere anche le personalità più timide.

Storie divertenti, appassionanti, commoventi e talvolta piccanti che Alberti intesseva con la sua voce tonante, dando vita ad un grande proscenio a cielo aperto di cui lui stesso era il principale protagonista. 

Alberti è stato un riferimento culturale e sociale che ha attraversato mezzo secolo di storia della città, contribuendo a creare quell’im-maginario di Montichiari dove tutto è possibile, dove tutto può accadere.  

Questo ci ha portato via la pandemia: non solo una persona ma la nostra stessa identità, l’essenza della nostra storia, la voce della piazza.

Non ha potuto, però, privarci dell’eredità che Alberti ci lascia: l’imparare a descrivere persone e situazioni reali, l’apprezzare ciò che abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni, il saper vivere il nostro paese come luogo della coesione sociale, collaborando con le diverse anime che lo compongono. Non è un lascito da poco e dovremmo saperne fare tesoro. 

Marzia Borzi