Ogni volta che qualcuno si strappa le vesti per qualcosa che in cucina non è “tradizionale”, mi viene in mente l’affresco della polenta… Ah, cosa c’è di più tradizionale della polenta?!

Castello Oldofredi d’Iseo nel ‘600 fu adibito a convento, e a quel tempo nel cortile fu realizzato l’affresco che ritrae dei turchi offrire un piatto di polenta ai frati come segno di cordialità. Dunque,quell’immancabile impasto della tavola bresciana era un piatto esotico? Forse… e di certo esotico era il granoturco con cui è fatta. Ma anche il caffè era una bevanda esotica fino al 1683, e che dire di sua maestà il pomodoro, arrivato dalle Americhe?! Riuscite ad immaginarvi la “Cucina Italiana” senza il pomodoro? Eppure di ricettari del ‘300 ne ho letti diversi e mi sono anche divertito a cucinare alcune pietanze padane di quel tempo che prevedono: torte di pollo; lasagne senza pomodoro e carne ma con pepe e cannella; soffritti a base di strutto (poiché l’olio era caro e riservato ai giorni di magro).

Chissà: fra 200 anni, accanto allo spiedo, il piatto tipico che verrà servito nei ristoranti di lusso sarà il kebab? Chi studia la storia vede un continuum di abitudini e tradizioni che si adattano al variare delle condizioni di vita. Pensate che le raffinate corti rinascimentali, giudicavano “barbara” la corte dei Gonzaga di Mantova, nella quale si serviva un “disprezzabile” piatto popolare: i tortelli di zucca! Persino le aragoste in passato erano ritenute “insetti di mare” da servire solo ai detenuti.

Se c’è una cosa che gli italiani sono bravi a fare è cucinare, ma anche imitare le idee altrui. Ilgrande Franco Zigliani non ha mai fatto mistero del fatto che il Franciacorta sia nato dal metodo champenoise… e i francesi, che l’hanno presa male, ci hanno vietato di chiamarlo così (ora si dice“Metodo Classico”).

La storia insegna: se una cosa è funzionale ed economicamente accessibile, ha buone opportunità di affermarsi. Non si dispiacciano coloro che sono contro l’auto elettrica solo perché “vuoi mettere sentire il rombo del motore?!” Se l’elettrica saprà essere economica e funzionale alle esigenze, quel motivetto suonerà un po’ ridicolo, come chi negli anni ’90 si opponeva ostinatamente ai PC perché “vuoi mettere quando batti a macchina?!”.

Dove voglio arrivare?

Sul tema degli insetti, per quanto faccia ribrezzo, se lo vedessimo come un metodo per creare farine proteiche non lo prenderei tanto sottogamba. D’altronde produrre integratori proteici estraendoli dal siero scartato dall’industria casearia (ci sono aziende dedicate in Franciacorta), non è una visionemeno stomachevole, ma nessuno si scandalizza.

Se personalmente sono contrario al consumo umano fin quando saranno chiari i parametri di controllo, dobbiamo perlomeno considerare il vantaggio che potrebbe avere la produzione di farine d’insetti per il consumo animale. Oggi parte dei mangimi sono prodotti con farine di pesce e di soia, e sostituire queste con gli insetti darebbe dei vantaggi.

È stato stimato che per produrre 1 kg di carne bovina serva consumare 5/15mila litri d’acqua ed energia equivalente a 7 litri di petrolio, oltre ad occupare grandi estensioni di terra. Aumento demografico, cambiamenti climatici e scarsità di petrolio contribuiranno a far diventare le carni rosse più care di quanto già non siano. Per contro, produrre lo stesso quantitativo di proteine con gli insetti richiede molte meno risorse.

Per quanto riguarda il consumo umano, vorrei citare l’occhio attento di un uomo vissuto in un’epoca in cui la fame era una minaccia concreta. Permette di capire come, di fronte ad un problema serio, non si dovrebbe scartare alcuna soluzione. Il rovatese fra Giuseppe Costa, missionario in Tibet e India dal 1761, nel suo viaggio, vide a Bassora (Iraq) un’invasione di cavallette e scrisse: «Quello che ho ammirato è che queste genti procurano di trar profitto da questo stesso castigo, perché quando le locuste si posano in terra […] corrono con foglie di palma e con vesti, e procurano di percuoterle per prenderne, e poi le mangiano come un cibo molto prezioso. Di solito queste locuste si vendono molto care […] nei bazar costano sempre più della carne».

Da buongustaio spero che la carne resti a prezzi accessibili, ma ricordo che in tempi non troppo lontani erano pochi a potersi permettere di consumarla più di una volta a settimana. Arrivassero tempi in cui un salame costi 200€, credo che persino io diventerei ghiotto di cavallette… perciò, ringraziamo il cielo che possiamo ancora limitarci a parlarne.

Alberto Fossadri