Nonostante fosse in stato di abbandono da oltre 25 anni, lascia una sensazione di amarezza e nostalgia vedere abbattere la cascina «Le Piccinelle», l’ultimo degli edifici agricoli che sorgeva ancora in pieno centro a Montichiari sulla cui area partirà nei prossimi mesi la costruzione della nuova caserma dei Carabinieri. Di edificazione antichissima (ma non ci sono documenti storici che attestino la data precisa di costruzione), e ubicata tra le attuali via Vittime delle Foibe e Ciotti, le “Piccinelle”, la cui etimologia non è chiara e forse deriva dal cognome di un antico residente di bassa statura o di esile corporatura, era appartenuta fino agli Anni Sessanta al Conte Giovanni Treccani degli Alfieri che, pur vivendo ormai lontano da Montichiari, possedeva diverse proprietà agricole in loco e spesso tornava nel paese natale per la caccia. Successivamente la cascina era stata acquistata da Silvio Bellandi, proprietario anche della prima concessionaria Fiat in paese, e gestita dal di lui genero dottor Alberto Prignacca. Dopo gli Anni Sessanta, con il passaggio dell’area da agricola ad edificabile e la costruzione limitrofa del nuovo quartiere Allende e del nosocomio locale, le Piccinelle erano state abbandonate a se stesse e, soggette a crolli e devastazioni, balzavano agli onori delle cronache solo per qualche atto vandalico che talvolta gruppi di teppisti locali compievano al loro interno. L’antica cascina appariva così agli occhi del passante distratto come un grande dinosauro adagiato nel centro urbano, un insieme di edifici ormai degradati senza alcun valore. Le Piccinelle, però, come tutte le cascine locali, era ed era stata ben altro: il simbolo di un importante centro di organizzazione produttiva e sociale, la rappresentazione stessa dell’identità locale e delle radici contadine che ancora oggi contraddistinguono una parte importante del territorio monteclarense. Nonostante sembrasse ormai come il fantasma della struttura vivace che doveva essere stata un tempo, infatti, osservandola con attenzione si poteva ancora scorgere il fienile, le stalle e la sua corte attorniata da una serie di edifici che le facevano da protezione, quasi fosse un abbraccio a difesa della vita dura ma solidale che doveva essersi svolta nel corso dei secoli al suo interno. Prendere atto del suo abbattimento, dunque, non è solo accettare di veder demolito un vecchio rudere ma perdere una parte stessa della storia locale e di noi stessi che difficilmente potremo recuperare.

Marzia Borzi