Rilevo la caduta costante ed inarrestabile delle iscrizioni al liceo classico. 

Nell’anno scolastico 2023-24 lo frequenta appena il 5,8% degli alunni di terza media. La conclusione è ovvia: il liceo classico non esercita più il suo fascino sugli adolescenti italiani. 

La storia e le lettere sono meno studiate anche alle elementari e alle medie; quindi è comprensibile che manchino curiosità, interesse ed attenzione verso la cultura antica.

Quello del liceo classico rischia di venire percepito come un percorso di studi antiquato, privo di connessioni con una realtà che invece spinge a considerare la scuola sempre più in funzione della ricerca del lavoro. 

La causa della fuga è forse anche la più banale: le famiglie non vogliono che i figli facciano fatica, che si stressino, che falliscano, è la sindrome della “bambagia”. Questo la dice lunga sulla cultura media del Paese, ripiegato su di sé, in fuga dalle tensioni della storia presente.

Il classico non è dunque nello spirito del nostro tempo; poiché il mondo di domani avrà più bisogno di tecnici che di umanisti, un corso di studi centrato sul nostro patrimonio storico e letterario sembra a molti una perdita di tempo.

La scuola tuttavia non è e non deve essere solo questo. Essa deve formare dei cittadini (Don Milani), non dei consumatori o dei produttori.

È vero, come ha scritto Massimo Gramellini, il classico non ti spiega “come” funziona il mondo, ma in compenso ti abitua a chiedere il “perché “.

A capire le cause delle cose, ad usare in modo critico e logico la testa, a pensare e a ragionare. È come essere su una barca, ti fornisce le vele per orientarti nell’immensità del mare.

Il punto è proprio questo: c’è chi può permetterselo di pensarla così, di vivere la scuola come una barca e chi no.C’è chi non ha il tempo o i mezzi per stare su una barca e deve uscire presto da scuola per andare a portare a casa la pagnotta.

C’è chi semplicemente è cresciuto ascoltando solo il monito del lavoro, mentre l’altra dimensione, quella che ti dice di alzare la testa e di dedicare il tempo all’inutile mestiere della ricerca di sé stessi, è uscita dai radar.

Quella dimensione dovrebbe essere proprio la scuola: dall’infanzia alle medie, è questo il vero tempo del riscatto sociale. È lì che si impara a credere nella scuola come mezzo per migliorare sé stessi, per trovare il proprio posto nel mondo.

Non è che il Liceo ti apre la mente e il Professionale te la chiude: è che al professionale arrivano quasi sempre ragazzi che già non ci credono più nella scuola come veicolo per salvarsi davvero, ma solo come un mezzo, ben che vada, per trovare lavoro. 

La mentalità aziendalista che si è insinuata a scuola negli ultimi anni ha certo dato la sua spinta e proprio per questo non ha bisogno di essere nutrita dall’idea che esistano scuole per la vita e scuole per il lavoro.

Perché così rischiamo di dimenticarci che la scuola dovrebbe essere il luogoche ti apre la mente e, allo stesso tempo, ti fa arrivare da qualche parte.

La crisi del liceo classico va analizzata, a mio avviso, in questo spettro più ampio.

Non sono le minori iscrizioni il problema, ma la funzione e la percezione della scuola nel suo complesso. 

Non è dopotutto una novità che il sistema di Istruzione di un Paese faccia da cartina di tornasole dello stato di salute del paese stesso. Nel caso dell’Italia, non c’è molto da stare allegri.

MARIO FRACCARO