Con l’autunno, è arrivato anche il momento di ricordare l’ “autunno della vita” e chi gli è andato incontro: i nostri cari defunti. Perché non parlare della storia del nostro Cimitero, che presto molti manerbiesi andranno a visitare? 

Ovviamente, il luogo di sepoltura non è sempre stato là dove si trova oggi, né ha sempre avuto le stesse caratteristiche. Fino al 1817, il camposanto di Manerbio era adiacente al lato settentrionale della chiesa parrocchiale, fra la casa del curato di S. Vincenzo e la strada provinciale. Era un’usanza di origine medievale, che voleva le tombe affiancate ai luoghi sacri, quando non addirittura all’interno di essi. Magari sotto l’altare, se si trattava di defunti in odore di santità. Era un modo per onorare coloro che ormai “erano con Dio” e degni a loro volta di una forma di venerazione. Per costituire questo camposanto, era stato acquistato un terreno privato ed era stata occupata anche una parte del terraglio del castello manerbiese, ormai distrutto. Dal registro dei defunti, risulta che il primo a venir sepolto in questo cimitero sia stato il bimbo Angelo Locatelli. Il camposanto della pieve, infatti, ospitava soprattutto i poveri e i più piccoli. Coloro che se lo potevano permettere, infatti, avevano le tombe di famiglia nelle chiese e nei loro sagrati.

Questo durò fino all’era napoleonica. In Francia, Napoleone Bonaparte emanò l’editto di Saint-Cloud (1804), in cui 

stabiliva che le sepolture dovessero essere tutte uguali, nonché collocate fuori dall’abitato e in luoghi arieggiati. Era un decreto che univa gli ideali di eguaglianza e laicità alla più ovvie esigenze igieniche. Dato che Napoleone fondò una repubblica in Italia settentrionale, l’editto di Saint-Cloud venne esteso anche quaggiù. Nel 1817, fu la volta di Manerbio di adeguarsi alle nuove disposizioni. Il Cimitero venne quindi costruito nell’area detta “le Saide”, nel beneficio assegnato al curato di S. Caterina. In questo nuovo luogo di sepoltura, la prima a riposare fu una certa Giulia Facchinetti, quarantacinquenne. La sua salma vi fu traslata il 21 aprile 1817. 

Questo cimitero fu dapprima costruito in uno stile molto semplice. Ingrandimenti e abbellimenti sono seguiti, fino a fargli assumere l’aspetto con cui lo conosciamo oggi. A prescindere da quanto personalmente si crede circa il destino ultimo dei defunti, il Cimitero è un luogo dalla forte carica simbolica, uno dei modi in cui il corpo civico mantiene il senso dei legami che lo costituiscono. La morte è un momento inevitabile e, allo stesso tempo, profondamente impattante a livello personale e sociale: richiede una rielaborazione che attutisca il trauma e mantenga tra vivi e defunti “una corrispondenza d’amorosi sensi” (come scrisse Ugo Foscolo, riflettendo proprio sull’editto di Saint-Cloud). 

Passeggiando fra le tombe, si prova la sensazione di trovarsi in una “città dentro la città”: chi è stato manerbiese da vivo continua a esserlo anche da morto, riposando nella cerchia dei suoi concittadini. 

Fonte: Pro Loco Manerbio APS, “Manerbio: visita alla città”, 

tratto da una pubblicazione di Mons. Paolo Guerrini (1880-1960).