I mesi trascorsi nella piccola cittadina di Cadimare hanno rappresentato un momento importante della prima parte della mia infanzia. A ridosso di quel piccolo porticciolo ligure in provincia di La Spezia e delle sue case distese sui gradoni alle spalle, mio padre ha frequentato per diversi mesi un corso all’interno della Scuola dell’Aeronautica Militare Italiana votata a istruire gli specialisti quando le linee di volo degli aeroporti militari si preparavano all’arrivo di nuovi velivoli o per gli aggiornamenti tecnici su quelli già esistenti. Le finestre delle aule frequentate dell’allora sergente maggiore Arturo Trigiani, si affacciavano su un idrovolante che giornalmente veniva calato in mare con una gru per effettuare le sue missioni di volo. I miei compagni di scuola di seconda elementare erano abituati a queste scorrerie del velivolo. Per me l’effetto era molto differente. Vedere scivolare sull’acqua quel bimotore, per poi decollare lasciandosi alle spalle lunghe scie d’acqua era una novità che a sei anni non avevo mai visto. La sera, dopo cena, papà apriva i manuali di studio, zeppi di circuiti idraulici colorati in rosso e azzurro che – mi spiegava – rappresentavano parte del cuore di una caccia da combattimento. Faticavo a capire come facesse a orientarsi in quelle pagine, considerato che in quei giorni combattevo con le tabelline. Nella natia Manfredonia una delle perle del promontorio garganico, punta della meravigliosa distesa della Capitanata, Arturo Trigiani classe 1917 ha frequentato scuola fino alla sesta elementare vista l’estensione dell’obbligatorietà di frequenza a dodici anni. Considerati i tempi e le condizioni della società a cavallo del 1930, lo studio supplementare ha sicuramente inciso positivamente. Mio nonno aveva una barberia su Corso Manfredi, la main street della cittadina, con due poltrone per il servizio e un passaggio che portava direttamente in casa. Nonno Vincenzo e nonna Angioletta hanno messo al mondo sei figli maschi e due femmine. Difficili da gestire con gli incassi della barberia. Manfredonia in quei tempi si stava dotando del porto con un braccio a mare molto lungo, capace di offrire sicurezza alle numerose imbarcazioni di pescatori che animavano l’economia della cittadina. Per qualche anno Arturo ha vissuto con l’acqua salata fino alla cintola lavorando alla costruzione del pontile. Giornate intense interrotte verso ora di pranzo dalla pagnotta che il nonno gli portava per pranzo. Il companatico… a giorni alterni. La decisione di arruolarsi nella Regia Aeronautica appaga la sua passione per la divisa azzurra. Conosce da vicino gli aerei di quella stagione…Breda, Cant Z, Caproni, Piaggio e Savoia Marchetti. Tutti con le loro sigle distinguibili, molti dei quali rivestiti in tela che si “pezzavano” anche in volo come le camere d’aria delle biciclette. Tra i vari bombardieri e da trasporto mio padre preferiva il trimotore Savoia Marchetti SM 79 soprannominato “lo Sparviero” per il suo profilo ingobbito. Gli anni di guerra sono trascorsi ritornando sempre sano e salvo, fatta eccezione per una ferita da scheggia di contraerea, dalle missioni di bombardamento e trasporto truppe. Con la pace il ritorno da sposato al campo d’aviazione di Guidonia Montecelio ad un tiro di schioppo da Roma. Sede del Centro sperimentale di volo, per la messa a punto e costruzione di nuovi velivoli, dei motori e delle eliche. Oggi ospita il 60° Stormo. Ricordo lo sportello di un SM 82, aereo da trasporto, sul quale mio padre voleva farmi fare un volo per guarire dalla insistente pertosse (utile si pensava, lo sbalzo di pressione). Tentativo fallito. Il frastuono delle eliche ha avuto il sopravvento e sono rimasto a terra con somma gioia di mia madre. È la volta di Galatina in provincia di Lecce dove ho imparato a riconoscere – trascorrevo molte giornate con lui in aeroporto – l’odore di carburante per aerei sulle piste e di olii all’interno degli hangar. Le “combinazioni”, le tute che ancora oggi indossano specialisti, piloti, ufficiali e sottufficiali a contatto con i velivoli, erano e sono il segno di appartenenza alla comunità aeronautica. Mi identificavo in lui e nel suo lavoro di specialista montatore, tecnici altamente qualificati che da sempre si occupano di garantire la sicurezza e l’efficienza dei velivoli da tenerli pronti per ogni evenienza sulla linea di volo. Il richiamo per la sua città natale è forte. Viene trasferito alla base aerea di Amendola vicino Manfredonia, oggi capitale con Ghedi dell’F-35, caccia di ultima generazione. L’aeroporto era già operativo nella Seconda guerra mondiale, prima per la Regia Aeronautica e dopo l’8 settembre 1943 anche per la 15th Air Force statunitense. Ai giorni nostri ospita il 32° Stormo Caccia. Fatico ad affezionarmi alla bella cittadina di mare che mi ritrovo armi e bagagli a Ghedi, sede del mitico 6° Stormo Caccia dei Diavoli Rossi. Finalmente mettiamo radici. Il Villaggio Azzurro di Ghedi ci apre le porte, regalandoci quello che ancora oggi i ragazzi e ragazze che lo abitavano chiamano paradiso terrestre, regalando amicizie inossidabili mai dimenticate. Incredibile a pensarci oggi. Tutti noi giovanotti e giovinette eravamo in possesso di un magico tesserino che ci permetteva di entrare nella Base per frequentare i circoli, andare al cinema nei pomeriggi d’estate, alla Messa domenicale, giocare a pallavolo contro squadre di militari e, cosa che mi riempiva di orgoglio, andare a trovare mio padre al 154° Gruppo. Ho conosciuto da vicino l’F-84 Thunderjet, un caccia-bombardiere americano che è stato utilizzato dall’Aeronautica Militare Italiana negli anni ’50 e ’60. Il mitico spillone F-104 Starfighter e il grande Tornado, quello che più mi ha affascinato. Grandi macchine, grandi aerei, grandi piloti ai loro comandi e grandi uomini a terra per prepararli al loro compito. Persone, gli specialisti, che conoscevano alla perfezione i Caccia. Dal puntale “Tubo di Pitot” allo scarico posteriore “Fuel Dump”… a significare un simbolico abbraccio alla macchina volante. Il Villaggio Azzurro e la Base sono diventati la nostra famiglia. Tutti noi ragazzi e ragazze eravamo orgogliosi dei nostri padri, della divisa azzurra che indossavano. Per ricambiarli riconosciamo oggi di non essere mai stati “ribelli”. Una gratitudine che i nostri genitori si sono meritati. Ho sentito battere forte il cuore quella mattina nella Scuola di Artiglieria Contraerei a Sabaudia. Ero inquadrato con gli altri cadetti quando l’altoparlante ha annunciato una visita parenti che mi riguardava. Ho immaginato subito che fosse mio padre. Da lontano, senza correre per non incorrere in richiami, ho visto la sua divisa azzurra. L’ho salutato come si conviene ad un superiore portando la mano alla fronte. Ero fiero di farlo. In quel momento indossavamo insieme una divisa ed ho apprezzato il saluto militare che mi ha ricambiato. Cosa mi ha lasciato tra le tante cose? L’amore per la nostra bandiera, per il suo lavoro e per le stellette indossate. È anche per questo che i mesi trascorsi nella Scuola di Eccellenza europea per Contraerei li ho vissuti intensamente e serenamente. Oggi, tra i tanti suoi ricordi, sulla parete della mia sala fa mostra di sé la sua sciabola e la pergamena di Cavaliere vergata dal Presidente della Repubblica.


Enzo Trigiani