«Com’è nata la mia passione per l’Aeronautica? Semplice: me l’ha trasmessa mio padre» Non occorre altro a Giancarlo Calubini per spiegare in poche parole la trama stessa della sua stessa esistenza e di quella della sua famiglia, rievocata anche qualche settimana fa in Sala Consiliare in occasione della presentazione della ristampa anastatica della guida sul Circuito Aereo di Brescia. Presenza piuttosto nota in ambito civico per aver rivestito la carica di Presidente del Consiglio Comunale sia con il sindaco Elena Zanola che con l’attuale Marco Togni, Calubini ha un vissuto degno di una trasposizione cinematografica, un vissuto che ha segnato profondamente le sue stesse scelte professionali e personali. Suo padre, il Maresciallo Pilota Giacomo Calubini, fu vittima di un terribile incidente aereo occorso alle ore 11.40 del 1° giugno del 1950, mentre era in volo di addestramento con il suo biplano R.O 41 su Montichiari. Era una giornata limpida quel giorno e il giovane pilota, partito da Linate per un volo su Ghedi, aveva chiesto ed ottenuto il permesso di sorvolare il suo paese natio e salutare dall’alto la madre, la moglie e il figlio di due anni che non vedeva da qualche giorno. Dopo alcune evoluzioni acrobatiche, però, forse un vuoto d’aria o un’avaria al motore lo misero in difficoltà facendogli sbattere l’ala destra contro il comignolo di una vicina casa. Nel tentativo di un atterraggio di fortuna, l’aereo impattò sul terreno in un campo di frumento ai margini della frazione di Borgosotto catapultando il giovane pilota a circa due metri dal suo velivolo e spezzando la sua vita per sempre a soli 34 anni. A nulla valsero i tempestivi soccorsi portati da alcuni contadini e dai Carabinieri della locale stazione comandati dall’allora Comandante Adolfo Moro. Giacomo Calubini spirò davanti agli occhi dei presenti a causa delle gravissime lesioni riportate nell’impatto. «Mio padre – racconta Calubini – era stato pilota in Africa durante la Seconda Guerra Mondiale. Più volte decorato, aveva preso parte ad oltre 320 incursioni aeree ma, per una beffa del destino, aveva trovato la morte proprio nel suo paese e con un semplice volo di addestramento. Ricordo come fosse ieri le sue esequie funebri: le vie di Montichiari gremite di gente, la predica toccante dell’Abate, la commozione di un intero paese davanti alle sue spoglie pietosamente ricomposte, il carro con il picchetto d’onore che lo condusse in Duomo. Qualche giorno prima, durante una passeggiata con mia madre Maria Zanetti, aveva avuto quasi una premonizione e le aveva fatto promettere che, qualora fosse morto durante un volo, non avrei mai dovuto fare l’aviatore. A quella promessa ho tenuto fede, almeno finché è vissuta mia madre, ma solo in parte perché la passione per l’Aviazione è un qualcosa che mi scorre nel sangue e che non può essere soffocata. Dopo la morte di mio padre ho trascorso tre anni nel Collegio Militare per orfani degli Aviatori a Loreto e poi 11 anni a La Spezia fino al conseguimento del diploma di perito elettronico. Solo alla morte di mia madre ho fatto richiesta per entrare in Aeronautica, mi sono formato presso la Scuola di Guerra Aerea di Firenze, per due anni sono stato a Ferrara come assistente al controllo aereo e, successivamente, ho intrapreso la carriera da ufficiale tecnico al Sesto Stormo di Ghedi. Sono andato in pensione nel 1997 con il grado di Colonnello. Ho mantenuto la promessa e non sono mai diventato pilota, anche se ho condiviso con i piloti ogni drammatico evento, tra cui la partecipazione alle guerre del Golfo e dei Balcani, e, ogni volta che ne ho avuto l’occasione, ho sorvolato il cielo. Lassù, in quell’azzurro terso, guardando dall’alto Montichiari, ho compreso profondamente la passione che animava mio padre. “Volò sul nido, si spezzò l’ali e morì” si trova scritto sul cippo di marmo nel luogo in cui cadde ma in pochi sanno che la sua passione non è andata di certo perduta e che io la faccio ancora mia, ogni giorno, orgogliosamente».

Marzia Borzi