Uomo retto e probo, di solide virtù, generoso e colto, capace di spendersi per la libertà e la pace: queste furono le caratteristiche di Fausto Boselli, nome che nei libri di storia locale monteclarense non ha soverchio spazio, tanto breve è stato il suo passaggio come primo sindaco del dopoguerra, eppure sarebbe ingiusto dimenticarne il valore e il sincero impegno al servizio della comunità. Era nato a Carpenedolo il 23 settembre 1879, paese a cui rimase sempre legato e svolse per molti anni la professione di docente, dopo la laurea conseguita nel 1903 a Roma: nel 1922 lo troviamo menzionato in un documento ufficiale del Ministero  dell’Istruzione quale insegnante di storia e geografia presso la Scuola Tecnica “Gaetano Mompiani” di Brescia. In precedenza era stato a Milano, Mantova, Parma e successivamente a Castiglione delle Stiviere prima di concludere al “Tartaglia” di Brescia. Nei “Commentari dell’Ateneo di Brescia per gli anni 1946-1947”, realtà di cui Boselli fu socio onorario come pure il figlio professore e critico d’arte Camillo, viene descritto nella rubrica dedicata ai collaboratori scomparsi con “una luce dell’anima nei chiari occhi buoni e quel sorriso arguto e quel gesto che accentuava espressivo la colorita parola. Ricco di vasta cultura, sopratutto storica, sentiva alto il valore di questa intellettuale ricchezza, ma in fondo al cuore gli erano forse più cari i tesori che la vita ci dà coi più semplici doni”. Tesori che per lui erano costituiti dalle amate ricerche in archivi e biblioteche, dove si recava per riportare alla luce antiche conoscenze: si dedicò molto e bene in particolare allo studio di Giovita Scalvini, scrittore, poeta e patriota italiano che fu amico e sodale tra gli altri di Ugo Foscolo, in merito al quale curò un saggio apparso nel 1937 sull’Illustrazione Bresciana, rivista che trent’anni prima aveva ospitato “Tre lettere inedite dello Scalvini” sempre a firma di Boselli. Nei “Commentari dell’Ateneo di Brescia”, nel 1930, uscì invece un’interessante ricerca ricca di scoperte dal titolo “Documenti per la storia della dominazione di Pandolfo Malatesta a Brescia” in cui più volte torna il nome Montechiaro, retto dalla signoria romagnola dal 1404 al 1420. Nell’agone politico il carpenedolese si distinse per le battaglie comunali e provinciali tra il 1910 e il 1920 e successivamente per aver “resistito” e non essersi “piegato a servili consensi” mantenendosi “fedele – si legge ancora nei Commentari – alle idee che professava di una più generosa giustizia sociale, fedeltà che gli costò persecuzioni” durante la dittatura. Per questa sua rettitudine e per l’impegno antifascista il Comitato di Liberazione Nazionale, riunitosi il 27 aprile 1945 nell’ex sede municipale di Palazzo Tabarino alla presenza dei partiti reduci dalla vittoria, lo designarono sindaco (l’unico socialista ad aver mai retto Montichiari) con Giacomo Zanini a rivestire il ruolo di vicesindaco. La giunta da loro nominata vedeva la partecipazione degli assessori effettivi Carlo Branca, Mario Pedini, Uber Pellini, Enos Volpi, Emilio Cominotti e Fioravante Betti. Tra i primi provvedimenti assunti il razionamento di 200 grammi di pane nero al giorno a persona, la sostituzione di diversi dipendenti comunali che risultavano collusi col regime in favore di altri e con precedenza a coloro che avevano benemerenze belliche, la costituzione del Comitato dell’Ente Comunale di Assistenza, il reintegro del dottor Ettore Norsa, medico ebreo sospeso dalla professione a causa delle leggi razziali. Un altro segno dei tempi fu il cambio di molta della toponomastica “in odore di fascismo”: venivano ripristinate o denominate per la prima volta via XXV Aprile (già via Vittorio Emanuele III), via Arrighini (già via 28 ottobre), via Cavallotti (già via Italo Balbo), viale Matteotti (precedentemente viale Regina Margherita e in seguito viale Bruno Mussolini), Corso Martiri della Libertà (al posto di corso Camicie Nere), via San Pietro (in luogo di via 11 febbraio). In poco meno di un anno Boselli impresse una spinta decisiva verso la ricostruzione del paese dei sei colli passando poi il testimone nelle prime elezioni libere, tenutesi il 31 marzo 1946 e dalle quali sortì un altro equilibrio politico con l’ascesa alla guida del Comune del democristiano Giambattista Bressanelli. Chiusa la parentesi amministrativa ritornò ai suoi studi, ma solo per poco tempo: il 27 ottobre 1947, colto da improvviso malore, concluse la sua esistenza terrena. Ci facciamo aiutare ancora una volta dai Commentari dell’Ateneo che, tracciandone una breve, commossa biografia, gli rendono memoria: “Stava per salire alla sua casa sulla collina di Montichiari. Piovigginava. Entrò nella portineria per un saluto con quella sua espansività familiare che trova fraterno il cuore degli umili. Si accostò al focolare in cui brillava la fiamma così allegra nei primi freddi novembrini. Si sedette vicino a una bimba, sua piccola amica e, accarezzandola, scherzava, e la incitava a ridere godendo di grazia festosa. A un tratto tacque. Reclinò il capo. Si pensò che fosse uno di quei momenti non insoliti in lui, in cui si raccoglieva in sé stesso, assorto in un subito improvviso pensiero. Ma era il silenzio che non è più della terra. La morte era venuta improvvisa tra quei due sorrisi: sorriso di una bimba ignara e sorriso di un anziano che aveva conosciuto e molto meditato la vita e pure ne conservava intatta la poesia del fanciullo. E da quel sorriso ultimo e da quel distante silenzio invalicabile a chi non ha fede, la sua anima migliore ancora ci parla”. Alla sua morte la giunta Mazza volle tributargli il riconoscimento di cittadino onorario richiamando “lo spirito equilibrato unito a un buonsenso eccezionale e rafforzato da una onestà adamantina del primo sindaco della Liberazione”. Carpenedolo lo ricorda con una via, nei dintorni di Monte Rocchetta, e un’edicola di culto presso la tomba di famiglia.

Federico Migliorati

Foto tratte dal volume:  “I carpini fioriti – persone di Carpenedolo”