Come ogni anno, a metà Quaresima, ci attende l’usanza di “brüšà la ècia”, il rogo della Vecchia, nella consueta cornice godereccia. La tradizione sembrerebbe essere ampiamente diffusa nel tempo e nello spazio. Ai fuochi di primavera, dedicò diverse pagine l’antropologo scozzese James George Frazer (Glasgow, 1854 – Cambridge, 1941), nel proprio monumentale saggio di folklore e mitologia comparata “Il ramo d’oro” (1890). (L’edizione consultata per la stesura di questo articolo è: “The Golden Bough”, Edinburgh 2004, Canongate. Le citazioni presenti sono state tradotte dalla sottoscritta). La tematica dei roghi primaverili è introdotta dal mito di Balder (in norreno “Baldr”), “il dio buono e bello” (p. 562), figlio amatissimo di Odino e Frigg. Alcuni incubi avvertirono Balder della propria morte imminente. Sua madre, allora, impose a ogni cosa esistente un giuramento: non fare del male al giovane dio. Trascurò però il vischio, da lei giudicato innocuo. Di questo approfittò Loki, dio del caos e dell’inganno. Mentre gli dei onoravano Balder lanciandogli ogni sorta d’oggetto, per verificare la sua invulnerabilità, Loki convinse un dio cieco a gettargli contro un rametto di vischio. Così morì Balder, che fu cremato su una pira accesa su una nave.

            Frazer sostiene che la dettagliata descrizione del rogo funebre sia dovuta al fatto che i creatori del mito abbiano realmente assistito a un rituale simile (cfr. op. cit., p. 564). Una cerimonia annuale di questo tipo è ravvisata dall’autore in numerose zone dell’Europa. Fra i periodi favoriti dell’anno per tale usanza, ci sono ovviamente la Quaresima e la vigilia di Pasqua (p. 565). Per esempio, Frazer cita una vecchia pratica tipica dei monti dell’Eifel, in Germania: la prima domenica di Quaresima, i giovani raccoglievano paglia e rami di cespugli di casa in casa; li portavano su un’altura e li ammucchiavano intorno a un faggio, al quale era stato legato un pezzo di legno per formare una croce. (cfr. p. 565). A volte, nella struttura, veniva bruciato un fantoccio di paglia. La direzione in cui il fumo si levava era considerata portatrice di responsi: se il pennacchio si dirigeva verso i campi, il raccolto sarebbe stato abbondante. Vicino a Echternach, in Lussemburgo, Frazer rilevò un’usanza simile, detta “bruciare la strega” (p. 566). Ugualmente, una “strega” fatta di stracci imbottiti di polvere da sparo veniva bruciata in cima a un giovane abete, durante la prima domenica di Quaresima, a Voralberg, in Tirolo (p. 566). Anche qui, i giovani che danzavano intorno al rogo invocavano la fertilità del suolo.             Nella regione tedesca detta Svevia, sempre durante la prima domenica di Quaresima, aveva luogo il rogo di un fantoccio detto “la strega”, o “la vecchia comare”, o “la nonna dell’inverno” (cfr. p. 566). Intorno al fuoco, i giovani lanciavano in aria dischi di legno infuocati, la cui forma ricordava quella del sole o delle stelle. Lo strumento per il lancio era una bacchetta, spesso in legno di nocciolo. I resti bruciati del fantoccio e dei dischi venivano sotterrati nei campi di lino quella stessa notte, per proteggere il raccolto dai parassiti (cfr. p. 567). A Cobern, sempre sui monti dell’Eifel, il fantoccio veniva anche processato e condannato come responsabile di tutti i furti avvenuti durante l’anno (p. 568). Quando i fuochi vengono tenuti alla vigilia di Pasqua, è invece più evidente il significato legato al rinnovamento della luce: Frazer parla infatti dell’usanza di spegnere tutte le luci nelle chiese e di riaccenderle attingendo a un nuovo fuoco. Anche qui, alle ceneri era attribuito un potere fertilizzante. Un pupazzo di legno rappresentante Giuda Iscariota poteva talora essere bruciato nel fuoco consacrato. Gli esempi citati fin qui sono sufficienti a delineare il significato dei falò primaverili: funebri e sacrificali, sono però carichi della speranza di nuova vita e di nuova luce