Se ci pensate un attimo, vi accorgerete che è impressionante la serie delle cose che «non possiamo più fare», o siamo costretti a fare in modo diverso, per via del Covid.
Solo qualche esempio, così, giusto per ricordare: siamo confinati in casa dalle 22 alle 5 del mattino, cosa che neanche in guerra accadeva; non possiamo andare a scuola (idem); sono di fatto vietate le visite a parenti e amici; se hai voglia di andare a mangiare una pizza, te la devi tenere; idem per un concerto, il compleanno di un amico, un bacio in piazza al tuo moroso, un fine settimana al mare…
Alcune di queste cose sono importanti; altre decisamente meno.
Tutte, però, sono vietate.
E tutte ci hanno cambiato la vita, naturalmente in peggio.
A fronte di questi «divieti generali», che valgono sull’intero e italico suolo, ve ne sono poi di locali, che dipendono dalle condizioni logistiche particolari di una determinata località.
A Montichiari, ad esempio, a tutti i divieti nazionali se n’è aggiunto uno locale: da un bel po’ di tempo, praticamente da quando è iniziato il primo lockdown, per le loro donazioni di sangue gli avisini di Montichiari non possono più stare in loco (nell’ex portineria del-l’ospedale), ma devono recarsi al centro provinciale di Brescia.
Scelta dolorosa, sia chiaro, ma necessaria per poter garantire le operazioni di «dono» in tutta sicurezza.
Non a caso, tutti gli interessati hanno fatto sapere che, appena si potrà, tutto tornerà come prima e gli avisini di Montichiari non dovranno più andare in trasferta.
Nel sottolineare che i volontari hanno preso questa nuova limitazione con grande «professionalità» (i numeri delle donazioni non sono calati, nonostante la strada da fare), ricordiamo un piccolo particolare, che forse può servire a lenire lo sconforto per quanto accaduto e accade tutt’ora: visto che è temporaneamente inutilizzabile per le donazioni, con un bel gesto i responsabili dell’Avis hanno pensato bene di «prestare» gli spazi al vicino ospedale, che li sta utilizzando per effettuare alcuni tamponi.
Tutto bene, dunque, nel senso che gli avisini fanno diventare bene anche quello che, magari, molto bene non è. Anche per questo ci auguriamo che, magari grazie ai vaccini, tutto ste “amba-radam” finisca il più in fretta possibile, così che gli avisini posano tornare a donare nella loro sede e tutti noi possiamo tornare a fare quello che facevamo prima.
Qualche esempio?
Beh, ci piacerebbe, se è ancora consentito dirlo, andare a vedere uno spettacolo nel Teatro Bonoris; ci piacerebbe riascoltare il suono della banda; ci piacerebbe fare un giro per il paese senza doversi autocertificare…
MTM