Gentile Direttore,
ha fatto scalpore l’annunciato nuovo progetto per un Centro Oncologico da costruire ex novo nell’Ospedale di Manerbio, a seguito di una maxi donazione di ben 6 milioni e 600 mila euro da parte della Fondazione Abrami di Verolanuova. La curiosità è stata certo il motivo di tanto interesse da parte della gente, soprattutto per individuare il personaggio che sta dietro a questa fondazione benefica. A leggerne il nome io mi sono sentito catapultato nel passato, quando, ancora ragazzo, crescevo e lavoravo proprio accanto a lui, il mio coscritto Renato Abrami. Entrambi senza un soldo in tasca e provenienti da due famiglie poverissime, per non dire in miseria, avevamo visto quel lavoro come una possibilità per aiutare le famiglie, nel suo caso la mamma Maria, per quei tempi coraggiosa ragazza madre, e lo zio Alessandro “Sander”. Se molte persone ricche devono ringraziare il lavoro dei padri o degli avi per la loro fortuna, altri, come Renato, devono ringraziar solo sé stessi. Come descrivo anche nel mio libro “Ragazzo di una volta”, Renato, con cui ero particolarmente affiatato, era uno dei ragazzi che giocavano con me durante l’infanzia e l’adolescenza, quei “gnari del San Ròc” che ne combinavamo di tutti i colori nei pressi della chiesetta che, se potesse parlare, racconterebbe di interminabili partite del pallone, dei furtarelli di frutta nella ortaglia del “Pepo Ruger” per sfamarci, delle prime cotte per le ragazzine della nostra amata via e dei grandi sogni da condividere nella vita di tutti i giorni nella nostra piazzetta, Renato, detto “il Resol” per i suoi capelli ricci, dopo vari lavoretti trovò, come me, lavoro nel calzaturificio “Walez” di Verolanuova. Era capo magazziniere, sebbene fosse giovane, uno che lavorava sodo, molto preciso ed intelligente, che imparava ed apprendeva subito le variazioni e la possibilità di migliorare il suo lavoro essendo da esempio per molti. Nonostante il basso livello di istruzione, avendo frequentato le scuole di avviamento, in seguito, ebbe le intuizioni giuste, da vero grande talento, che gli permisero di partire col suo calzaturificio, di avere successo e a cavalcare l’onda del boom economico. Andando al di là di quello che noi gente comune riteneva possibile, sicuramente nessuno gli ha regalato niente, era l’ultimo che lasciava la sua fabbrica. L’ultima volta che ho visto Renato in vita è stato in occasione del saggio tenuto dalla sua amata bellissima figlia Damiana assieme a mia figlia presso il Politeama di Manerbio. Possiamo dire che alcune persone entrano nella nostra vita per una ragione, altre per una stagione, ma mai per caso. Sono persone che ci completano e che ci fanno capire la nostra fortuna nell’averle incontrate. Renato “il Resol” era una di loro, tanto più ora che grazie alla generosità della sua amata moglie Lidia rivivere nella gioia che con le speciali cure del nuovo “centro Renato e Damiana Abrami”.