Ritroviamo Tarcisio Mombelli dopo il “tutto esaurito” del suo recente libro e dopo la pubblicazione di alcuni estratti del diario di mons. Luigi Zenucchini, già prevosto di Rovato.

A seguito dei numerosi accadimenti storici avvenuti nel nostro paese in periodo bellico da te raccontati, c’è qualche altro evento che hai vissuto di cui vorresti renderci partecipi?

«Non azzardo entrare nel testo preciso e dettagliato scritto da mons. Zenucchini nel diario sugli accadimenti del 26-27 aprile 1945 a Rovato, ma alla tua precisa domanda rispondo»:

Verso sera in una zona sud-est del paese ebbe inizio una forte sparatoria. Prima pochi colpi singoli, a seguire continue raffiche di mitragliatrici e altre armi automatiche con colpi più cadenzati, oso dire più soft:

TUM…TUM…TUM… TUM

Curioso e irrequieto, siccome nulla si vedeva, mi portai sulla strada del monte Orfano dove vi è la curva a gomito sperando di poter scorgere cosa poteva accadere, pressappoco a 2,5 Km di distanza. Mia delusione!

Mi fu impossibile vedere!

Eppure laggiù infuriava qualcosa di importante, come fosse battaglia, insomma. Dopo un po’ che stavo là mi toccò di sentire, poco più in alto della mia testa, dei sibili: ZIM…ZIM…ZIM…ZIM.

Da quel momento capii di stare nel posto meno indicato. Erano le pallottole che fischiavano minacciose derivanti dai TUM…TUM. Spaventatissimo, gattoni, gattoni, raggiunsi casa che distava circa 250 m.

74 anni dopo, sempre nel dubbio: «Avrò sentito bene o erano traveggole?!» 

Ho voluto accertarmi della cosa, consultandomi con un amico architetto che mi ha confermato di non essermi sbagliato: nessun ostacolo poteva deviare quei tanti colpi micidiali. Arrivavano colà a seconda del puntamento dell’addetto all’arma di potenza spaventosa. 

Solo 12 ore dopo, seppi dello scontro armato tra alcuni giovani rovatesi con un discreto esercito di nazifascisti in fuga. Le colonne motorizzate tedesche, a quei tempi, avevano come apripista uno o due autocarri sui quali, sopra la cabina di guida, era montata una mitragliatrice cannoncino Flack da 20 mm, arma di gran precisione e di lunga gittata (oltre 4 km), molto temuta dagli eserciti nemici. I colpi venivano sparati a raffica cadenzata con un suono molto simile a un cannone di piccolo calibro. Era usata anche come arma di difesa antiaerea. 

Il temerario quanto coraggioso iniziare dei nostri, trovò loro di fronte una colonna motorizzata composta da decine e decine di veicoli sui quali forse 2.500 disperati in cerca di scampo.

A capo il feroce Roberto Farinacci, gerarca fascista in auge nei tempi d’oro, ora a capo di assassini assetati di sangue. Passata la notte, alle 7.30 del mattino stavo fuori dal Comune.

Silenzio assoluto tutt’intorno: solo 3-4 persone alle quali chiesi cosa fosse successo la sera prima.

Allora seppi… e poi mestamente aggiunsero che i corpi delle vittime stavano proprio dentro il palazzo scolastico a me frontespizio. La curiosità mi spinse all’entrare e, percorso il corridoio, arrivai dove era l’aula dedicata ad Enea Guarneri. 

Apro la porta e, dalla tapparella del tutto abbassata, ma rotta in diversi punti, ragion per cui filtrava abbastanza luce per poter osservare, e… vidi abbastanza da rimanere impietrito: tavolate di assi unite, sollevate per un metro dal pavimento.

Adagiati i corpi rigidi delle vittime martoriate, denudati dalla cintola in su perché il medico constatasse e potesse stilare il documento di decesso e causa dello stesso. Erano i corpi del gruppo di Rovatesi che si erano scontrati con la colonna la sera innanzi, e tre di altri che nulla avevano a che fare.

Erano stati trasportati nella notte, poche ore prima, su di un autocarro; solo più tardi trovarono collocazione nel casello mortuario presso il cimitero. Non scrivo altro e non solo per la pietà dei morti. Non è facile spiegare la barbarie su quei corpi che si capiva…

Per contro a sì tante brutture dell’uomo, voglio riportare la lettera che il nostro concittadino Giovanni Battista Vighenzi (1909-1945) scrisse all’amata moglie nella notte di quello stesso giorno (26-27 aprile), prima di essere fucilato a Rodengo Saiano:

“Liana amatissima mia gioia, mia vita, c’è una grande sete nel mio cuore in questo momento e una grande serenità. Non ti vedrò più Liana, mi hanno preso, mi fucileranno; scrivo queste parole sereno d’animo e col cuore spezzato nel medesimo tempo per il dolore che proverai. Ti ho detto stasera prima di partire: Liana io ho tanta voglia di riposare vicino a te, sulla tua spalla, nel tuo animo, ogni notte per tutta l’eternità.

Mio bene, tanto cara, ho mille scuse da chiederti per le gentilezze che non ho avuto per te che meriti tanto per tutto… Pino (Malvezzi) è stato preso e fucilato prima di me. Prega per noi due amici uniti anche nella morte. È morto con dignità, e mi ha salutato con uno sguardo in cui era tutta la sua vita. Spero di morire anch’io, di fare il grande grande viaggio serenamente. La mia ultima parola sarà il tuo nome che è inciso sulla fede che ti mando. Tu parlerai alla mamma mia, tu la consolerai se sarà possibile, povera cara mamma!

E la zia e il fratello Luigino; a Marietta dirai che il mio affetto di fratello ingigantisce in questo momento. Consolatevi: la vita è fatta di queste improvvise rotture. I tuoi di Modena: la mamma, il babbone, la Cesira in modo particolare, Tonino, Margherita, mi sono tutti presenti. Dì a Tommaso che sarà come se fossi presente al battesimo del suo piccolo. Ricordatemi al caro Rino…

Vieni soltanto di tanto in tanto sulla mia tomba a portarmi uno di quei mazzolini di fiori campestri che tu sapevi tanto ben combinare.

Addio, debbo salutarti, cara e tanto amata: non mi importa di perdere la vita perché ho avuto il tuo amore prezioso per questi tre anni ed è stato un grande dono. Muoio contento per essermi sacrificato per un’idea di libertà che ho sempre tanto auspicata. Metto la mia firma e sulla fede i miei ultimi baci.

Tuo per sempre

Giovanni

Nel contempo rinnovo il suggerimento alle autorità comunali perché possano porre una targa marmorea con il nome del martire Giovan Battista Vighenzi indicando: “Fucilato dalle SS nazifasciste a Rodengo Saiano il 27 aprile 1945”, con l’aggiunta della parola più consona per la storia: “Patriota!”. Grazie.

Tarcisio Mombelli

Trascrizione e adattamento a cura di Emanuele Lopez