Professore associato di Letteratura Italiana Contemporanea presso la facoltà di Scienze della Formazione della sede bresciana dell’Università Cattolica, Carla Boroni è stata chiamata a presiedere, nella quarta edizione del Premio Nazionale Franciacorta, la commissione dedicata alla Letteratura Contemporanea.

Professoressa Boroni, cosa significa, per lei, tornare come presidente della giuria chiamata a valutare le opere in concorso?

Significa mettere in gioco competenze di carattere professionale, nel leggere e giudicare libri di letteratura contemporanea italiana, ma con un occhio di riguardo al paesaggio, a come viene raccontato, al suo aspetto tangibile e fisico, ma anche agli aspetti antropologici che lo connotano, quindi alle attività umane che si svolgono su una certa area.

Durante la sua lunga attività di ricerca, si è dedicata, tra le altre cose, allo studio della ricca tradizione culturale bresciana: secondo che linee e sotto quali aspetti l’ha vista evolvere in questi anni?

Debbo dire che quando ho cominciato, seguendo Don Antonio Fappani (in Fondazione Civiltà Bresciana), Ugo Vaglia e Gaetano Panazza (dell’Ateneo di Brescia di cui sono socia dal 1996), sono entrata in un mondo in cui parlare di poeti e prosatori locali, come Scalvini, Ugoni, Costanzo Ferrari, ecc., di cibo e letteratura bresciani, di favole locali, non significava ridursi al localismo o restringere il campo, ma aprirlo. Significava cercare le radici nobili per interpretare altra letteratura. Oggi c’è un interesse agli studi di questo genere e lo vedo anche assegnando tesi di laurea. Ma c’è anche un gap fra lavori scientifici e nostalgiche, seppur interessanti, storie di paese o di “famiglia”.

Molti critici ritengono che la recente “esplosione” della narrativa costituisca un vulnus per le belles lettres e che abbia come esito ultimo l’allontanamento dei lettori da questo mondo, forse, ormai troppo caotico. Qual è la sua posizione a riguardo?

Certamente è un mondo caotico, ma bisogna imparare a scegliere, a scartare. La sovrabbondanza, anche in questo settore ci porta alla ricerca della linearità, dell’essenza. Dobbiamo, noi insegnanti o addetti ai lavori, far capire quel che vale ed è autentico, da quel che è moda trash (magari scritta male). È un’operazione pedagogica quella che si deve fare.

Spostando l’attenzione sulla produzione letteraria giovanile, quali sentimenti, pensieri e punti di vista, a suo avviso, tendono ad emergere con maggior evidenza?

Io sono giurata anche in un premio ad Alessandria (Uspidalet) tutto dedicato al mondo giovanile della formazione. Si tratta di editi (quindi case editrici importanti che propongono scrittori consolidati) e inediti (scritti da giovani nati dopo il 2000). Quest’ultima sezione è ricchissima, i testi sono freschi e profondi; i temi raccontano lo spaesamento e le paure esistenziali, che erano anche le nostre infondo. Io ho grande fiducia in queste generazione Z.

Infine, che ruolo pensa dovrà rivestire la letteratura di formazione e la narrativa nella crescita delle future generazioni, immerse in un mondo sempre più composto da istantanee, da immagini e suoni, più che da lettere “impresse” su di un foglio?

Gli strumenti d’approccio sono cambiati totalmente. Guardavo i miei ragazzi in università, quest’anno, e ascoltavo il picchiettio, sui loro pc, mentre prendevano appunti e ricordavo il silenzio delle penne scivolare sui fogli solo qualche anno fa. Però si emozionano ancora quando parlo di Gozzano, ridono con Palazzeschi, si trovano con la poesia visiva, si indignano con le tiritere sulla morte della poesia contemporanea, cercano il valore della “parola”. Insomma, apprezzano le graphic novel, ma anche un classico (con un approccio guidato come si deve) non lo disdegnano per niente. Il senso della letteratura è vivo, e i ragazzi lo sentono. Tutto questo mi fa ben sperare.

Leonardo Binda