Come ogni anno il gruppo Alpini di Rovato ha preparato con grande sentimento ed emozione la commemorazione della battaglia di Nikolajewka, proponendo anche alcune iniziative culturali a favore della popolazione. Un evento affinché non vengano mai dimenticate le vittime ed i fatti accaduti allora e per dare ai giovani l’occasione di comprendere la grande tragedia e, nel contempo,il valore ed il sacrificio di grandi uomini che in quelle terre (quelle russe) combatterono fino allo stremo e dove molti persero la vita.

Ricordiamo brevemente quegli eventi: Seconda Guerra Mondiale, anno 1943, le forze dell’Asse italo-tedesco-ungherese impegnate nella “Campagna di Russia” si trovarono ad affrontare reparti dell’Armata Rossa presso il villaggio di Nikolajewka. Nei mesi precedenti i sovietici avevano già accerchiato la 6° Armata tedesca e sconfitto l’8° Armata rumena. Si erano asserragliati nel piccolo paese per fermare la ritirata delle truppe dell’Asse provenienti dalla sacca del fiume Don. Una morsa militare inesorabile che pian piano si stringeva per dare il colpo di grazia agli italo-tedeschi ormai stremati dai precedenti combattimenti e dal gelo russo. 

Alla divisione Alpini “Tridentina” (unica ancora operativa), guidata dal generale Luigi Reverberi, fu assegnato l’incarico di assaltare il villaggio. Con immensi sforzi, perdite, e male equipaggiati rispetto al nemico (maggiormente dotato di armi pesanti ed artiglieria), riuscirono nell’impresa di aprire un varco tra le linee sovietiche. Parteciparono all’azione i battaglioni “Vestone”, “Verona”, “Valchiese” e “Tirano”. Altissime le perdite ma l’azione fu un successo poiché permise alle truppe reduci di uscire dalla “tenaglia” russa e di raggiungere il 31 gennaio del 1943 la città Shebekino. 

Pesante il bilancio delle vittime: dei 61.155 uomini presenti nel Corpo d’Armata Alpino all’inizio della ritirata, 40.000 rimasero uccisi e qualche migliaio catturato dai sovietici ed internato in vari campi. I restanti intrapresero una grande ritirata a piedi per tornare verso casa percorrendo migliaia di chilometri, mal vestiti, male equipaggiati e morendo lungo il cammino per la fatica ed il freddo.

In questo scenario, tra migliaia di uomini, ve ne era uno che, col tempo, diventerà santo: don Carlo Gnocchi.

È così che lo scorso 4 febbraio, presso la sala civica, il gruppo Alpini ha voluto proporre una serata in onore dei caduti e dei dispersi della battaglia di Nikolajewka, rievocando la storia di don Carlo Gnocchi con una rappresentazione teatrale interpretata da Emanuele Turelli.

Emanuele Turelli, giornalista ed attore, storyteller, è riuscito con la propria interpretazione a trasmettere ai presenti emozioni profonde ed intense. Pur non essendo al cinema, le sue parole sono riuscite a coinvolgere talmente gli spettatori da sembrar quasi di vedere le immagini di quegli eventi.

Turelli, con la propria narrazione, ha voluto non solo trasmettere le atrocità, le sofferenze, le difficoltà materiali che gli Alpini della Tridentina dovettero affrontare, ma anche i loro sentimenti, le loro emozioni, la loro umanità. 

Chi meglio di don Carlo Gnocchi poteva essere testimone di tutto ciò? 

Un sacerdote straordinario, che svolse la propria vocazione educando i ragazzi nelle scuole e negli oratori. Una persona che vide crescere i propri giovani e, quando questi furono chiamati alle armi, decise di arruolarsi come cappellano militare per poterli seguire in guerra. Partecipò alla campagna dei Balcani terminata nel 1941, e nel 1942 partì per il fronte russo col grado di tenente nella Divisione Alpina Tridentina.

La narrazione è fluida, dinamica, mai monotona, intervallata ed accompagnata dalle musiche e dai canti tipici alpini: un’esecuzione di eccellente qualità hanno sottolineato i momenti di tensione per poi saperli spezzare improvvisamente con canti e note d’allegria.

Infine l’epilogo: la sera del 26 gennaio 1943, al termine della battaglia e per ripararsi dal freddo intenso, i soldati si stiparono all’interno di un’isba (ndr abitazione rurale russa) ma qualcuno era assente. L’alpino Tobia si accorse della mancanza di don Carlo; incurante dei rischi e del freddo uscì a cercarlo e, trovatolo, con grande coraggio ed altruismo lo caricò sulle proprie spalle, portandolo al sicuro, e riuscendo così a salvargli la vita. Aveva salvato la vita di un Santo!

Domenica 12 febbraio si è svolta invece la consueta sfilata lungo le vie del paese con la cerimonia dell’alzabandiera al monumento degli Alpini in piazza Garibaldi. Alle ore 11.00 è stata celebrata la S.ta Messa in onore dei caduti presieduta dal parroco mons. Mario Metelli. A seguire si è tenuto il pranzo sociale presso un noto ristorante della zona.

Mai come in questi tempi, ritrovano un senso profondo le commemorazioni ai caduti di questa ed altre guerre: sono momenti di ricordo, riflessione, rievocazione, insegnamento. Oggi più che mai, che lo spettro della guerra aleggia sull’Europa, è davvero importante scendere in campo per la pace. Purtroppo l’umanità non sembra aver imparato molto dal passato perpetrando ancor oggi politiche di guerra che, siano di offesa o di difesa, nascondo soltanto una grande ipocrisia: sempre di guerra si tratta e la guerra giusta non esiste, perché causa morte e distruzione soprattutto verso i più deboli. Approfittiamo davvero di queste occasioni, le commemorazioni, per fare delle profonde riflessioni, scuotere le nostre coscienze e adoperarci nella nostra quotidianità, per quel che ci è possibile, per impegnarci a favore della Pace. Occorre abbattere le logiche ipocrite di guerra affinché i terribili incubi reali del passato non si ripresentino dopo 80 anni. Grazie Alpini per il vostro grande impegno nella salvaguardia della memoria!

Emanuele Lopez