Quando qualche anno fa mi dissero che erano stati avvistati dei daini nel Parco dell’Oglio, probabilmente rilasciati da qualche privato, fui inizialmente felice della notizia pensando al piacere di una passeggiata nel nostro Parco e alla fortuna di un incontro.

Tuttavia, consapevole  della scarsa propensione degli italiani alla coesistenza con la fauna selvatica immaginai che negli anni, la categoria dei lavoratori agricoli o peggio ancora la lobby dei cacciatori avrebbero creato terreno fertile per campagne politiche di contenimento.

Il presidente del Circolo Legambiente Valle dell’Oglio, che tiene particolarmente al benessere di queste splendide creature, mi ha di recente riferito che nessun censimento è stato fatto, premessa di qualsiasi discussione per valutare la presenza di animali sul territorio (si tratterebbe comunque indicativamente di una quarantina di esemplari).

Ho letto in questi mesi alcuni articoli in cui si inneggia al contenimento. Tacciati come animali pericolosi per gli automobilisti transitanti in quelle strade di campagna desolate tra Soncino e Genivolta, divoratori di ettari di piante autoctone…avrebbero addirittura trasformato la riserva in un ristorante a cielo aperto, queste le testuali parole lette in qualche articolo delirante.

Pericolosi, devastatori di piante… mi sono francamente chiesta se lo scrittore parlasse di quegli animali protagonisti del mio cartone animato preferito Bambi o della specie a cui apparteniamo, la più pericolosa al mondo.

Solo nel 2019 sono andati perduti 3,8 milioni di ettari di foreste vergini una superficie pari alla Svizzera, il paese più colpito è il Brasile. 

Le piante forniscono il 50% dell’ossigeno presente sulla terra la restante parte proviene dagli oceani dal fitoplancton: non mi pare che siano stati i cervidi a devastare le foreste negli ultimi anni…

Del resto la convivenza con la fauna selvatica per noi italiani, abituati al bel cemento, non è facile. Di recente Regione Lombardia ha architettato una legge sulla caccia, che personalmente spero venga dichiarata incostituzionale, che prevede l’abbattimento di cinghiali tutto l’anno dotando i cacciatori di strumenti di visione notturna e le guardie forestali di giubbotti “catarifrangenti”. Ci si chiede come delle persone che devono tutelare la popolazione dal bracconaggio possano indossare strumenti che li rendano perfettamente visibili ai bracconieri. Per non parlare della trasformazione dei boschi e parchi  in “ iron camps “alla Rambo con cacciatori dotati di strumenti sofisticati per sparare al buio, per non parlare dell’incolumità di chi si vuole fare una passeggiata. Veterinari e esperti di fauna selvatica spiegano che l’aumento di cinghiali negli ultimi anni deriva proprio dalla caccia senza quartiere, quando viene uccisa la femmina matriarca del branco tutte le altre femmine, come meccanismo di difesa della specie vanno in estro: finché infatti vive la matriarca è l’unica a riprodursi bloccando il calore degli altri membri e di fronte ai cacciatori sarà la prima a sacrificarsi per proteggere la sua progenie e i membri del branco innescando lo strumento di difesa del calore di tutti i membri del gruppo per assicurare la continuità della specie.

Tali metodi di contenimento si sono dimostrati totalmente inadeguati. 

Per non parlare di quelle campagne di eradicazione delle nutrie, strumento politico per accontentare certe frange della popolazione, prima le introduciamo per abbellire le donne di vestiari insanguinati, poi le vogliamo sterminare perché a detta di qualche agricoltore sarebbero dannose. 

Un commercio, quello dell’allevamento di animali da pelliccia, che paesi più avveduti di noi, quali la California, hanno totalmente abolito. L’agricoltura intensiva si basa pesantemente sull’utilizzo di pesticidi e questo ha distrutto in quarantanni anni il 33% delle terre coltivabili. 

Lo sfruttamento intensivo impoverisce i terreni agricoli sicché l’uomo deve ricercare ulteriori spazi per le proprie coltivazioni disboscando, perché i precedenti spazi spinti allo stremo divengono sterili: riflettiamoci prima di additare le nutrie che non mi pare sversino pesticidi e altri inquinanti nell’ambiente!

Insomma mi piacerebbe pensare alla città foresta dell’architetto Boeri, immagine cara al mio Michele, una nuova realtà urbana che ha come punto nevralgico una foresta in cui si ripristinerà biodiversità vi sarà fauna selvatica e sarà il polmone verde che può salvarci dalla autodistruzione. Proviamoci, lancio la sfida “Orzinuovi città-foresta”. Lasciate in pace i daini e anzi aumentate le zone protette del Parco e delle foreste interdette alla caccia. Il buon vecchio Pannella, ultimo politico di una generazione di professionisti illuminati, nel 97 tentò il referendum per abolire la caccia. Allora tuttavia la sensibilità del rispetto, della coesistenza con altri animali cozzava col forte specismo elemento tipico della mia specie. Dovremmo invece metterci dal punto di vista degli altri esseri viventi che sicuramente questa terra, questa nostra casa, la trattano meglio di noi. 

Silvia Corbani