I colleghi, nei mesi scorsi, hanno posto il focus su una fase importante del ciclo di vita della famiglia, mettendo bene in evidenza le complesse ripercussioni che la nascita di un bambino o di una bambina ha nella coppia, nei singoli genitori, nei nonni, nei rapporti tra genitori e nonni e così via. 

In questo breve articolo vorrei soffermarmi su quella fase che viene prima, su quel periodo della vita in cui ad ognuno di noi viene posta almeno una volta la domanda «…Quando ti sposi?».  

Mi riferisco a quegli anni in cui l’individuo è alle prese con un compito importantissimo e allo stesso tempo non semplice né lineare: la costruzione del proprio progetto di vita, che dovrebbe comprendere, tra le altre cose, “uscire di casa”. Ma quanto dura questa fase?

Quando si parla del “feno-meno del giovane adulto”, ci si riferisce a quel periodo sempre più lungo in cui la/il giovane adulta/o permane in casa ben oltre l’adolescenza, spostando in là nel tempo il momento dello svincolo dalla famiglia di origine. 

Questo fenomeno è frutto di molti fattori sociali, economici, culturali e psicologici e non è di per sé negativo, “se un tempo le esperienze di vita degli individui erano riconducibili a percorsi ben definiti, ordinati e legati all’età, cioè in un certo senso erano standard, in seguito c’è stato un progressivo allentamento di tale rigidità dei percorsi individuali” (ISTAT, 2014, p.7). 

Facendo riferimento ai numeri messi in evidenza nel rapporto ISTAT citato poco fa, mi sembra significativo sottolineare che, se molte/i giovani, che vivono ancora nella famiglia di origine, attribuiscono tale permanenza a difficoltà economiche, una quota altrettanto considerevole afferma di stare bene in famiglia. 

La casa dei genitori, quindi, è percepita dai figli e dalle figlie come un riparo sicuro ma anche come un luogo in cui restare per gli spazi di libertà che continua ad offrire. 

Nella stessa indagine, è stata riscontrata, tuttavia, una discrepanza tra l’età in cui le/i giovani vorrebbero o avrebbero voluto uscire di casa e quella in cui ciò avviene, se avviene. Il punto è che, a volte, il fatto di restare, può nascondere, in realtà, una sorta di dipendenza dei figli e delle figlie dai genitori e dei genitori dai figli e dalle figlie, che ostacola il processo di transizione allo status di “adulta/o”. 

Certe volte, peraltro, tale permanenza genera conflitti importanti all’interno della famiglia, con uno o con entrambi i genitori, con fratelli o sorelle. 

La possibilità di restare in casa dà, quindi, dei vantaggi che possono essere un’arma a doppio taglio: se, da un lato, i genitori possono rappresentare una base sicura su cui mettere le radici per spiccare il volo, anche se con qualche anno in più rispetto alle generazioni precedenti, dall’altro lato, allontanare il momento di svincolo può essere espressione di una qualche difficoltà ad affrontare il mondo con le proprie gambe. 

D’altra parte, accade spesso che gli stessi genitori, pur desiderando vedere figli e figlie sistemati, più o meno consapevolmente e per svariate ragioni, contribuiscano a posticipare il momento del distacco dei figli/delle figlie e… dai figli/dalle figlie. In tutti questi casi si genera, dunque, una situazione di stallo, legata alle difficoltà nel gestire la reciproca separazione, che impedisce sia alle/ai giovani di uscire di casa e diventare adulti, sia ai genitori, quando presenti entrambi, di rimettersi in gioco come coppia.

Dott.ssa Marisa Pandolfi

Psicologa e Psicoterapeuta

Consultorio Famigliare di Quinzano D’Oglio