Fede, servizio, formazione: forse sono queste le tre parole che meglio descrivono la missione di don Sergio Passeri, orceano doc ed attualmente Rettore del Seminario Diocesano di Brescia.

Una figura gioviale, sempre sorridente, che poche settimane fa ha festeggiato i suoi venticinque anni di sacerdozio proprio qui, ad Orzinuovi, a fianco di molti fedeli e fratelli. Un momento di unità per tutta la comunità cittadina, raccolta nella sua chiesa per ritrovare, dopo mesi e mesi di lontananza e dolore, la luce di una viva speranza. 

Da cosa è scaturita la sua vocazione ad intraprendere la missione di sacerdote?   

La mia esperienza di fede è stata molto semplice.

Devo alla mia famiglia i primi passi. Ricordo quando da piccolo con papà e mamma andavamo a messa la domenica e al rosario alla Madonnina dell’Oglio durante il mese di maggio. Sono ricordi legati all’infanzia ma impressi in maniera indelebile nella memoria. Poi sono cresciuto normalmente, con le mie crisi di fede e miei combattimenti interiori.

Fino a quando all’età di 21 anni ho compreso con più chiarezza una possibile chiamata del Signore al ministero presbiterale. In quel periodo stavo svolgendo il servizio civile come obiettore di coscienza presso una comunità gestita da don Piero Marchetti Brevi. Anni indimenticabili e ricchi di esperienze di vita.

Come la sua vita ad Orzinuovi, nel suo Oratorio e nella sua Parrocchia, le ha permesso di conoscere la Fede e di volerne diventare un vivo testimone? Si ricorda qualche aneddoto del passato? 

Il mio paese è parte della mia vita. Ognuno di noi è in qualche modo debitore nei confronti dei luoghi, degli incontri e delle presenze che hanno determinato la stagione della propria crescita. L’oratorio, nello specifico, ha giocato un ruolo decisivo. Non ho iniziato a frequentarlo presto. Avevo quasi 18 anni quando, dopo un periodo di lontananza, sono tornato con il desiderio di donare tempo ed energie alla vita oratoriana, in particolare come animatore e collaboratore della indimenticabile Talì presso il cinema Jolly. Ero affascinato dall’ambiente dell’oratorio e non nascondo che ho sempre sentito quel luogo come un piccolo rifugio dove mi sentivo bene e dove forse, con il senno di poi, il Signore mi attendeva. Gli anni più belli in paese li ho vissuti, tuttavia, da seminarista. Quando d’estate, tornato al paese, passavo quasi tutto il tempo all’oratorio tra grest, campi, giochi notturni e serate infinite a suonar la chitarra. Porto nella memoria il calore di una comunità ricca di vita, dove all’entusiasmo giovanile è corrisposto l’incontro con persone che mi hanno aiutato ad andare in profondità alla ricerca delle cose vere. E forse, tra queste cose vere, ho scoperto la fede come ciò che c’è di più vero. 

Dalla sua ordinazione ha svolto diversi incarichi di grande importanza in molte comunità, tra cui il curato, il responsabile diocesano per la cultura e il professore in importanti atenei. Quando il contatto con le giovani generazioni ha plasmato la sua vita di sacerdote? 

Forse nella premessa alla domanda c’è un po’ di esagerazione. Semplicemente sono andato là dove mi han chiesto di prestare un servizio. È vero, però, che ho sempre incontrato tanti giovani.  Essi sono una vera risorsa. Non idealizzo il mondo giovanile; conosciamo le sue difficoltà e le sue delusioni, tuttavia ho sempre incontrato giovani generosi e carichi di speranza. A volte siamo noi adulti che tendiamo a spegnere i loro sogni perché ormai qualcosa o qualcuno li ha spenti in noi. È importante permettere ai giovani di donarci questo loro entusiasmo e rispondere a loro con un senso di responsabilità che li incoraggi a diventare adulti. Il mio essere prete oggi è debitore ai molti giovani che il Signore mi ha fatto incontrare. 

Da sempre impegnato nell’ambito della formazione e ad oggi Rettore del Seminario di Brescia, ritiene che sia corretta la suggestione secondo cui esisterebbe una “crisi vocazionale”? Come vede il rapporto tra i giovani fedeli e la scelta di dedicare l’intera propria vita al culto?  

Io non parlerei di una crisi vocazionale, ma di una crisi della fede o almeno del volto religioso della fede cristiana. Quando mi chiedono, preoccupati, del calo dei preti mi sorge spontaneo rispondere che il problema di domani, nella Chiesa, non sarà il calo dei preti ma il calo dei fedeli. 

È vero, tuttavia, che le cose sono oggi più difficili per un giovane che vuole diventare prete. Quando 25 anni fa sono stato ordinato ho potuto godere di quell’anticipo di fiducia con cui ‘natu-ralmente’ la gente accostava i sacerdoti. Oggi non è più così, le cose sono cambiate, i ragazzi sono più sospettosi e la gente non sempre guarda con ammirazione la scelta di un giovane prete. Questo ci spinge ad andare alla radice della vocazione, cioè al Vangelo. È necessario un cammino di discernimento che aiuti il giovane a scoprire la propria strada e a farlo con sincerità. Il dono della propria vita, in un contesto individualista come il nostro, spesso non viene capito o peggio guardato con sospetto. Ciò che può scardinare quello che è divenuto un vero e proprio ‘anticipo di sfiducia’ può essere il semplice gesto dell’indossare il grembiule prima della stola. Mostrare cioè una reale disponibilità al servizio.

Non sono tempi facili.

Questo, a volte, può spaventare o scoraggiare, può farci indulgere nella pigrizia o cedere alla rassegnazione. Tuttavia, è proprio oggi che il Signore continua a chiamare alcuni giovani a seguirlo in una strada annunciata in salita, per una porta descritta come stretta e senza scorciatoie. Se da una parte sarà necessario iniziare il proprio ministero nell’umiltà del servizio, dall’altra sarà indispensabile guardare con gli occhi della fede questi giovani preti che hanno il desiderio di raccontare e portare l’annuncio del Regno in un mondo spesso confuso e incupito.

Infine, il periodo dell’emer-genza sanitaria che ha colpito così duramente la nostra comunità ha fatto sì che nei cuori di molti si risvegliasse la scintilla di una rinnovata fiducia nel Signore. Ritiene che tutto quanto accaduto possa averci avvicinati maggiormente a Dio, nell’ottica di un nuovo modo di vivere, più frugale e meno asservito alle apparenze?   

Molto è stato scritto su questo tempo e penso che in futuro verrà scritto ancora molto. In seminario abbiamo vissuto appieno l’emergenza legata alla pandemia. Per tre mesi abbiamo vissuto in trenta persone in totale isolamento, senza cuoca e senza nessun ausilio. Siamo stati quasi tutti malati. In quei giorni abbiamo pregato molto per le nostre comunità, in primo luogo per Orzinuovi. 

Non so cosa cambierà e se cambierà qualcosa. Vedo però che qualcosa è cambiato qui, tra noi, in seminario. I legami di fraternità si sono intensificati, il desiderio di vivere nella comunione gli uni con gli altri si è fatto più forte; così come la voglia di sostenere chi è nel bisogno. 

Io penso che non possiamo fare grandi previsioni ma piccoli cambiamenti personali. Cosa ha lasciato in me questo tempo, come ne voglio uscire, che cosa ho compreso?

A queste domande ciascuno deve rispondere personalmente senza appaltare ad altri facili o scontate risposte. 

Colgo l’occasione per ringraziare tutta la comunità di Orzinuovi a cui sono sinceramente legato e verso la quale ho un vero debito di riconoscenza. 

Leonardo Binda