Anche Manerbio risulta essere nell’elenco dei territori coinvolti nell’inchiesta dei fanghi tossici sparsi sui campi agricoli.

I fanghi della W.T.E. di Quinzano, l’azienda considerata responsabile dello spandimento di fanghi non depurati, sono stati sparsi anche a Lonato, Quinzano d’Oglio, Calcinato, Montirone e Fiesse. 

Ma si tratta di una minima parte dei territori coinvolti dal momento che, le 150 mila tonnellate di sostanze tossiche usate come fertilizzante, sono state sparse su 3 mila ettari di terreni tra Lombardia, Piemonte, Veneto e Emilia Romagna. 

L’elenco completo delle commesse – trovato nei computer della W.T.E. – è in possesso dei carabinieri e non è pubblico. 

Nei giorni scorsi i carabinieri forestali hanno sequestrato i capannoni dell’azienda WTE a Quinzano d’Oglio, Calvisano e Calcinato.

Proprio a Quinzano anni fa si formò un Comitato popolare contro l’insediamento della ditta a poche decine di metri dalle abitazioni del paese.  

Le loro denunce partirono addirittura nel 2005 e i membri del Comitato si fecero promotori di campagne di sensibilizzazione sull’impatto ambientale e i conseguenti danni sulla salute collettiva che l’impianto dell’azienda avrebbe potuto avere.  

L’impianto della W.T.E. venne, allora, posto sotto sequestro dalla Procura per poi essere dissequestrato e prose-guire indisturbato una attività che, se confermata dalla indagine della magistratura, presenta risvolti davvero inquietanti.

Il comitato di Quinzano si sciolse e due dei promotori, Walter Assini e Matteo Baronchelli, furono anche denunciati dall’amministratore della W.T.E. Giuseppe Giustacchini. 

Oggi Assini ricostruisce le vicende di allora e ne osserva gli sviluppi con grande attenzione.

L’inchiesta sui fanghi tossici affonda le proprie radici lontano nel tempo, partendo dalla voce dei cittadini, spesso inascoltata. 

E quello che emerge oggi fa rabbrividire e ad un primo sguardo potrebbe sembrare fuori controllo vista la portata del fenomeno. 

Oltre ai fanghi non trattati, ad impensierire, ora, sono anche i gessi di defecazione che sono ricavati da fanghi di depurazione lavorati con calce e acido solforico e dati in pasto ai nostri terreni coltivati. 

A differenza dei fanghi, lo spandimento dei gessi è fuori controllo perché non esiste una normativa di tracciabilità. 

“Si continua ad autorizzare l’import di fanghi da depurazione da altre regioni” commenta il consigliere regionale del M5S Marco Degli Angeli “un business che riguarda l’arrivo in Lombardia di 600 mila tonnellate annue. In questo modo si alimenta il business dei “fanghisti”, “ges-sisti” e inceneritori.

Bisognerebbe mettere la parola stop al turismo di questi rifiuti e spingere su compostaggio dei fanghi che però è poco attraente perché ha pochi margini di guadagno rispetto alla normale gestione industriale del fango o sua riconversione in gessi o incenerimento”

Le indagini dei Carabinieri Forestali hanno portato al sequestro di terreni, impianti, fabbricati, autovetture e mezzi agricoli. 

L’ipotesi è di 12 milioni di euro di profitti illeciti.

Guadagni sulla pelle dei cittadini.

“E’ una questione sulla quale, in questo momento, sta ancora indagando la magistratura” precisa il sindaco di Manerbio Samuele Alghisi “se dovessero essere confermate le ipotesi di reato che stanno emergendo si tratterebbe senz’altro di una questione molto grave. 

Confidiamo che il lavoro fatto da tutti gli organi competenti possa condurre ad una soluzione tempestiva del problema”

In attesa di nuovi sviluppi resta sconcertante una intercettazione telefonica riportata qualche settimana fa dal Corriere della Sera e che fa riferimento alle nuove generazioni. 

“Chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais cresciuta sui fanghi” ha commentato in una intercettazione telefonica Antonio Maria Carucci della WTE.

Al signore in questione chiediamo un importante esame di coscienza e di guardare in faccia i propri figli e nipoti o, quelli che potrebbero esserlo, nel caso non li avesse. 

Barbara Appiani