Io e mio figlio stavamo facendo la nostra passeggiata mattutina per le vie di Manerbio e, passando davanti al bar-forneria di Marisa in via Roma, decidiamo di entrare a prendere un caffè con il nostro green pass in mano per essere regolari. Ci sediamo ad un tavolino ed ecco che entra la nostra amica Rosa, una ragazza acqua e sapone, semplice, sincera, senza peli sulla lingua dicendo “pane al pane, vino al vino“. Ci si mette a parlare del più e del meno ed il discorso va sulla nostra chiesa parrocchiale che è un monumento di architettura, specie il sagrato. 

Certo, uno che è nato qui la vede in un modo, quello di passaggio, ma il turista la vede in un altro e apprezza tutta la sua bellezza, in particolare la scalinata che conduce al luogo sacro e non disdegna di fare delle foto ricordo. Rosa mi sollecita a scrivere la storia del sagrato e le sue funzioni.

Il sagrato, detto anche sacrato, è lo spazio consacrato davanti alla faccia principale di una chiesa, spesso sopraelevato rispetto al livello della strada e a volte delimitato da una balaustra. Il lemma “sagrato” in epoca contemporanea indicava il luogo nel quale i fedeli erano aspersi con l’acqua santa prima dell’inizio della messa domenicale. Con tale rito il sacerdote purificava i credenti in quanto i fedeli, soltanto dopo aver ricevuto questa benedizione, potevano varcare la soglia d’ingresso della chiesa. Soglia che simboleggiava, chiaramente, la porta del cielo. 

Ho un ricordo indelebile di quando ero ragazzo di ciò che rappresentava questo luogo per noi adolescenti specie il giovedì santo quanto ci raggruppavamo lì, aspettando il curato che ci dava la benedizione e il via ai maiti con il gri’gri. le cioche, le tole, i coerchL’è e’l so’c dei maitì, significa “essere bersaglio di scherzi e botte”. La raganella invece era uno strumento per far rumore dotato di una ruota dentata: bisognava farla girare per procurare baccano che, a volte, era superato da strumenti più semplici. 

Anche l’olivo faceva la sua comparsa sul sagrato. Dal sacro al profano. Questa pianta ha unito le genti e attraversato la storia dell’umanità. E’ presente nella simbologia e nei miti fin dalla preistoria, oltre ad essere oggi emblema di pace, forza, fede, trionfo, vittoria ed onore. Dell’olivo si parlava già nel libro della Genesi. La Domenica delle Palme, quando sul sagrato c’erano i venditori d’olivo come pi’ Marù, Gino e Gianni Barbi, al magiaro, gli uinò che erano conosciuti anche nei paesi vicini e Cichino Vanazzi. 

Anche la chiesa di San Rocco ha la sua piccola gradinata e la Domenica delle Palme ospitava il venditore d’olivo e nostro artista manerbiese Nando Rampini. Quello era il suo quartiere. 

Piero Viviani