Provate a chiedere a un nonno, o comunque a qualcuno che ha già qualche anno sul groppone, cosa gli passa per la mente sentendo la parola «filò» (o filòs, a seconda del dialetto).

Siamo certi che la sua mente correrà a quando era giovane, a quando non c’erano le sale cinematografiche né i teatri (e se c’erano non erano alla portata delle gente comune); la sua mente correrà a quando non c’erano la televisione, i cellulari, i computer, internet, instagram, facebook, twitter eccetera eccetera. Niente di niente. C’erano solo i bar, pardon, le osterie, dove si poteva bere non un quinto, che costava troppo, ma almeno un calice, e forse anche due. E se ti andava bene, poteva capitarti che quella sera all’osteria c’era quello con la fisarmonica, e, magari complice qualche calice di troppo, si cantava un po’. E si andava a dormire contenti. A volte anche un po’ brilli, ma contenti.

Oppure, e qui siano a noi, in quegli anni di povertà diffusa si poteva fare filò. Filò era una prassi comune, e comunque molto diffusa, soprattutto nelle cascine. Funzionava così. Far filò, infatti, fa riferimento all’abitudine di riunirsi nelle stalle, soprattutto nelle sere d’inverno, perché così si risparmiava la legna della stufa o del caminetto (erano gli animali, col calore del loro corpo e del loro fiato, a scaldare. Gesù Bambino nella mangiatoia di Betlemme docet).

Lì, nelle stalle, gli abitanti di una cascina o dello stesso gruppo di case, con parenti e amici, chiacchieravano e raccontavano storie (alcune vere, altre verosimili, altre ancora neanche verosimili; quasi sempre storie… paurose), mentre gli uomini aggiustavano gli attrezzi da campo e le donne tessevano e filavano. In alcuni casi veniva recitato il rosario. Se questo è vero, è anche vero che la pratica più comune era quella di malignare o spettegolare, tenendosi informati sulle novità del paese e dintorni.

Che fossero veri o no, oltre a far passare un paio d’ore in attesa di andare a nanna, questi racconti permettevano anche di custodire e trasmettere le tradizioni. Poi, purtroppo o per fortuna, sono arrivate tutte le diavolerie tecnologiche di cui abbiamo detto sopra, che hanno accelerato la vita, disorientando, però, noi uomini, che non sempre riusciamo a stare al paso con la tecnologia.

Possiamo tornare indietro? Certo che no. Però, magari con l’aiuto del teatro, possiamo almeno recuperare qualcosa di quei tempi, così, giusto per riacquisire una dimensione più umana.

E’ quello che intende fare, giovedì 5 dicembre, alle 21 al Teatro Politeama di Manerbio, l’attore Marco Paolini, con lo spettacolo «Filo filò». L’ingresso costa 28 euro, 24 euro i ridotti.

MTM