L’associazione Chorouk, che raduna i musulmani di Manerbio, ha organizzato un Open Day (31 marzo 2019).
Per tutto il pomeriggio di quella domenica, i soci hanno offerto assaggi dei loro mondi culturali.
Sotto una sola denominazione religiosa, la Chorouk raduna infatti quindici nazionalità: i suoi membri vengono dall’Egitto, dalla Tunisia, dall’Algeria, dal Marocco, dalla Libia, dal Senegal, dal Pakistan, dal Burkina Faso, dalla Somalia, dal Ghana, dalla Siria, dalla Bosnia Erzegovina, dal-l’Albania, dalla Turchia. E dall’Italia, ovviamente: non è raro che i più giovani siano nati qui.
L’hanno dimostrato anche i rappresentanti dei Giovani Musulmani d’Italia, arrivati da Brescia per tenere alcuni stand: Younes El Sharkawy (di famiglia egiziana), Batul Alsabagh (siriana d’origine) e Izham Zulqarnan (dal Pakistan).
Come ha spiegato Yunes, la denominazione della loro associazione sottolinea la volontà di far convivere la propria italianità con la propria religione, contribuendo al benessere del Paese e facendo della propria “diversità” culturale una forma di ricchezza.
Cosa intendesse Yunes con tutto ciò era spiegato dallo stand che gestiva: un esempio di calligrafie arabe di diverse regioni.
Lo sviluppo di quest’arte in ambito islamico si spiega con la sacralità della parola coranica, nonché col divieto di rappresentazioni iconiche del divino.
Niente “santini”, dunque, ma quadretti con versetti dalle grafie elaborate.
Un altro banco proponeva i tatuaggi all’henné sulle mani: un’attività in rosa, si può dire, perché questo tipo di decorazione è pensata per le ragazze.
In particolare, in Marocco, la sera prima delle nozze è la “notte dell’henné”, in cui le mani della sposa vengono adeguatamente abbellite.
Il tatuaggio permanente non è consentito ai musulmani devoti, perché considerato un’alterazione del corpo quale voluto da Dio.
I disegni all’henné sono temporanei e assolutamente non tossici, perciò risolvono il problema.
Per quanto riguarda il velo, altro attributo femminile in questo contesto, esso è un obbligo codificato nella sura coranica di An-Nûr (v. 31), insieme alla raccomandazione della castità e alla proibizione degli atteggiamenti seduttivi in pubblico. I tentativi di alcune voci femministe musulmane di confutare l’obbligo del velo sono perlopiù caduti nel vuoto.
Un altro banco mostrava i trofei vinti dalla Chorouk nei tornei di calcio fra associazioni bresciane.
Il sunnominato Izham presentava le iniziative di solidarietà: raccolte di offerte in denaro, cibo e vestiti per i bisognosi (in particolare, quelli residenti in aree di guerra); un progetto di giornata di donazione del sangue, che dovrebbe prender piede in collaborazione con l’AVIS.
Un banco esponeva manufatti caratteristici del Maghreb e del Burkina Faso. Dal Marocco, provenivano diverse paia di scarpe, un mantice riccamente decorato e una tajine, la classica pentola conica in terracotta.
Un modellino riproduceva un minareto monumentale.
Dal Burkina Faso, giungeva una borsetta femminile chiusa da cordoncini e con specchietti rotondi sui lati (per rapidi “controlli di bellezza”).
Ancor più caratteristico era un mortaio per cereali.
La “calebasse” è una sorta di gigantesca noce, il cui guscio può divenire recipiente o strumento a percussione.
Le “calebasse”, la borsetta e un cappello troncoconico erano decorati da pendenti ricavati da conchigliette assai ricercate, un tempo usate come moneta.
Da sorte di zucchine erano stati tratti cucchiai e strumenti musicali.
Il banco più frequentato (c’è bisogno di dirlo?) era però quello del buffet: pasticcini fatti a mano, raffinati negli aromi e nella decorazione; olive piccanti; tè dolce.
E non mancava certo la generosità.