Anni fa ho iniziato l’analisi della vasta documentazione catastale di Rovato, fotografando interi registri di estimi e trascrivendone alcuni con l’aiuto di don Gianni Donni. Lo scopo è quello, nel lungo periodo, di scoprire dati sulle caratteristiche territoriali di Rovato nei secoli passati, oltre a ricostruire l’origine dei toponimi delle nostre località. Tra le altre cose che sarebbe possibile fare, ci sono anche le analisi sulla distribuzione delle proprietà tra le famiglie, che svelerebbero dinamiche interessanti. In questo ha già fatto un lavoro egregio Ivano Bianchini sullo scartafaccio del Peroni di fine ‘700, e si potrebbe estendere l’analisi ad altre epoche. Oggi, voglio iniziare una serie di articoli per raccontare alcune cose che abbiamo scoperto sulla natura selvaggia di Rovato, ancora evidente in alcuni segni lasciati dai nostri antenati nel loro operato di bonifica e trasformazione della natura. Occorre però introdurre bene l’argomento, partendo da epoche remote.

Uno dei segni più tangibili lasciati in Europa dall’organizzazione romana, non sono anfiteatri e mausolei, ma strade e “ritmi” geografici. Non vi siete mai chiesti perché campi, canali, stradine di campagna sembrano rispettare più o meno un andamento, una direzione… delle costanti?

La civiltà romana ha iniziato ad interessarsi del bresciano con le guerre celtiche pressappoco 2.250 anni fa. A tal proposito ho pubblicato un video su Youtube: “La prima volta dei Romani a Brixia”. A quel tempo i Galli Cenomani che occupavano il bresciano ed avevano in Brixia la loro capitale, erano alleati dei romani. Tuttavia, come ha dimostrato la battaglia dell’Oglio (223 a.C.), i romani temevano un possibile voltafaccia dei Cenomani e il legame etnico con i Galli Insubri, con capitale Milano, andava tenuto sotto controllo.

Quando si inserivano in un contesto territoriale i romani costruivano accampamenti fortificati in zone strategiche, da collegarsi tra loro con un sistema di strade che andava tracciato e costruito. Se questi insediamenti si facevano in territorio alleato, non è improbabile si scegliessero zone meno popolate, per non infastidire i locali. Poi, sia in questi contesti che dopo le avvenute conquiste, gli agrimensores romani effettuavano la centuriazione dei territori (magari da spartire ai soldati come forma di pagamento). L’analisi condotta sulla topografia bresciana, già esposta da Treccani degli Alfieri, ha mostrato la presenza di almeno due distinte centuriazioni dell’agro bresciano. Una, molto evidente, si impernia sugli assi stradali Brescia-Manerbio e Azzano-Quinzano: strade di collegamento tra Brescia e Cremona (quest’ultima fondata dai romani). Questa centuriazione sembrerebbe successiva, quando cioè Brixia era diventata colonia romana. Un’altra, distribuita come un triangolo coi vertici in Brescia, Pompiano e Palazzolo, sembrerebbe invece più antica ed imperniata sul decumano Castegnato-Rovato e con cardine la strada militare Coccaglio-Pompiano che collegava direttamente il castrum di Coccaglio con Cremona (attraverso Soncino). È la strada che costeggia Villa Valenca (evidenziata nell’immagine in blu). Ad accreditare questa ipotesi è anche il ritmo della centuriazione: nel senso N/S è quello consueto di 712 metri (20 actus); mentre quello E/O è di 800 metri (quasi 22 actus). Tali misurazioni sono evidenti prendendo in esame gli intervalli di 3 centurie evidenziati in foto, tra l’asse Coccaglio-Pompiano, e i paralleli S.Giorgio-Bargnana e Pedrocca-Berlingo.

L’ipotesi esposta dagli studiosi è che Coccaglio e Pompiano rappresentassero per i romani un diaframma che separasse strategicamente i Cenomani da eventuali contatti sgraditi con gli Insubri, prima che i primi entrassero come collegati a tutti gli effetti nei domini romani. Evidenziando ulteriormente la maggiore importanza di Coccaglio rispetto a Rovato. Nel prossimo articolo vedremo che una volta entrati nel dominio romano (89 a.C.), questi si interessarono maggiormente dell’agro ad est di Manerbio.

Alberto Fossadri