Mi hanno posto spesso questa domanda: da dove ha origine il nome di Rovato?

C’è da dire che non sono la persona più adatta a fare studi di toponomastica, ma in mio aiuto vengono tante pubblicazioni in cui è stato scritto tutto e il contrario di tutto. 

Provo ad esporre le principali tesi, per poi concedermi delle riflessioni. Purtroppo è praticamente inutile il vocabolario toponomastico bresciano di Arnaldo Gnaga che bolla tutta la discussione con una semplice ipotesi su derivazione dialettale di parole arcaiche, mentre il Fappani nella sua mirabile enciclopedia ha riassunto praticamente tutte le teorie prodotte.

I più audaci sono ricorsi al celtico “rhot, road” dove “roa” indica una strada carrabile (donde Rho). Il termine “road” (“rua” nel latino volgare) torna, secondo Stefano Dotti in un’altra interpretazione per la quale, riferendosi alla via carraia di Caporovato, nel senso di luogo dalle molte vie, Rovato deriverebbe da “vicus ruatus” di cui, perso il termine vicus iniziale rimane ruatus.

Vi è chi lo fa derivare da “robur” = quercia; chi da “robus” = rovo; chi da “ruina” = rovina e quest’ultima ipotesi è quella che più aggrada il campanilismo rovatese, sostenuta dal celebre storico Paolo Guerrini, convinto della validità di un “ruinatum” riferito ad un castrum, un fortilizio romano, che veniva presentato dagli scrittori più antichi come base del toponimo.

Ora tiriamo le somme. Che vi fossero delle vie che attraversassero il paese in epoca antica, è indubbio, che fossero carrabili (e molte…) stride un po’ con i ritrovamenti archeologici e con l’analisi del territorio in epoca medievale.

Sappiamo anche grazie agli estimi che buona parte delle aree in cui oggi sorge l’abitato erano boscate e le nostre campagne paludose. Consideriamo poi che le principali vie carrabili di epoca romana ed alto-medievale erano quelle che costeggiavano il Monte Orfano: a nord quella che attraversava Erbusco (riscoperta proprio in questi giorni nei pressi delle Porte Franche) e a sud l’antica via Gallica, la nostra via XXV Aprile, che immettendosi nella via Postumia collegava Torino con Aquileia.  

Dai ritrovamenti archeologici fatti risulta evidente la scarsa importanza di Rovato in epoca antica rispetto ad Erbusco e Coccaglio, che infatti hanno avuto ciascuno la sua pieve in epoca medievale.

Anzi, dai dati archeologici molti credono che da noi non vi fosse nemmeno un villaggio compatto, ma una serie di ville e fattorie disperse sul territorio. La stessa comparsa di Rovato nei documenti è piuttosto tarda (la prima menzione è del 1172).

Anche la teoria del castrum ruinatum, per quanto sia affascinante, è in contrasto con la realtà. Non sono stati trovati elementi che facciano pensare ad una precedente struttura difensiva in loco dell’attuale fortezza medievale. 

Tra l’altro avrebbe avuto poco senso, visto che un castrum romano era edificato proprio sulla via Gallica, a Coccaglio. 

L’unico dato a sostegno della tesi è la probabilità che vi fosse un insediamento dipendente dal fortilizio di Coccaglio nell’area sopra il monte, dove sorgono S. Michele e l’Annunciata.

Del resto è proprio lì che dovrebbe essere nato il primo nucleo abitato, attorno alla sua chiesetta longobarda, ben difeso dagli ungari che nel IX e X secolo devastavano la pianura padana. Lì, in mezzo a quei rovi (le ruedé), ed è forse questa la vera origine del termine, avvalorata dal contesto in cui è inserito il nostro paese, inglobato in un tessuto di località che prendono nome da semplici caratteristiche territoriali: Erbusco (da erba e bosco), Castegnato (dai castagni), Chiari (da clarus=chiaro, luogo spoglio o rado d’alberi), Coccaglio (da cocàl guscio di conchiglie, riferito ai fossili presenti nella pietra che veniva cavata dal monte Orfano e con cui era costruito il castrum).

Alberto Fossadri

In foto: chiesetta di S. Michele sul monte Orfano