Il peggiore dei mondi possibili parafrasando Voltaire che nella sua opera Candid, a seguito del terremoto di Lisbona del 1755, stigmatizza la visione teodicea di Leibniz che prima di lui sostenne la teoria del “migliore dei mondi possibili”. Questo breve articolo vuole registrare una ulteriore regressione del mondo contemporaneo, isolato ed incapace di comunicare in un momento storico in cui é semplicissimo ed economico accedere ai mezzi di comunicazione e tecnologie multimediali, privo di capacità di analisi critiche in un epoca in cui l’accesso alla cultura e la sua diffusione sembra inarrestabile, in un momento in cui il teatro politico economico avviene tra i leoni della tastiera che condividono post e replicano le news con il tasto condividi, e i dibattiti politici e propagande avvengono tra un salotto televisivo e Facebook (il vero palcoscenico per i politicanti locali). Registro un mondo che nonostante il pericolo imminente resta immobile e passivo, che dinnanzi a catastrofi naturali, alluvioni e dissesti idrogeologici, mari di plastica e consumo spropositato di suolo prosegue la sua autodistruzione.

Cosa dire quindi dei diversi capannoni, nuovi e luccicanti nati nel bel mezzo delle campagne delle “Terre di Franciacorta” a fronte di diverse altre decine abbandonati a sé stessi e mai riqualificati, cosa dire della qualità della nostra aria e dell’inquinamento ambientale, cosa dire di un progetto per una Concert hall di seimila posti che annienta un declivio collinare in una zona per altro già massacrata nel suo punto di contatto con l’arteria autostradale.

Cosa dire….che questo falso mito del consumo, del nuovo a tutti i costi é davvero insostenibile, che forse quando ne avremo piena coscienza sarà troppo tardi per noi e per le generazioni future… 

Citando Gianni Celati, da “Avventure in Africa”:

“Sì, però, sbarcati in Europa, anche qui è come essere in un documentario perpetuo, dove vedi tutto pulito, ordinato, levigato, glossy, flashing, rifatto a nuovo, neanche uno scarto troppo vistoso, una macchina troppo squinternata, una persona veramente sdentata, un vestito davvero fuori moda, un negozio che sia rimasto come cinque anni fa, una vetrina con libri che non siano novità assolute. Andiamo in giro per Parigi e vediamo soltanto quest’altro documentario del nuovo totale, senza più niente di precario, di povero, decaduto, rimediato, tarlato dal vento, scartato dal destino. È il documentario della simulazione globale, senza luogo, senza scampo, che ci mostrano a titolo pubblicitario notte e giorno, dietro lo schermo di vetro che abbiamo in dotazione per vivere da queste parti. Ma poi si sa che quando uno è lasciato dietro a un vetro, tende a sentire che gli manca qualcosa, anche se ha tutto e non gli manca niente, e questa mancanza di niente forse conta qualcosa, perché uno potrebbe anche accorgersi di non aver bisogno davvero di niente, tranne del niente che gli manca davvero, del niente che non si può comprare, del niente che corrisponde a niente, il niente del cielo o dell’universo, o il niente che hanno gli altri che non hanno niente”.  

Eros Tomaselli