Carpenedolo e Càrpena, Castenedolo e Campo della castagna, Serodine e Cerudina, Rovere, Rovertorta e Gróp de la rùer, Albarelle, Albarello e Albarotto, Onedello e Onizetto, Olmo, Ponte dell’Olmo e Ùlem, Saletto e Saliceto, Ceresa e Ceresole, non sono che alcuni dei toponimi rintracciabili nella pianura bresciana i cui nomi derivano con evidenza dalla trascorsa presenza di alberi di diversa specie, tanto singoli quanto in associazioni più o meno pure. Sicché ancora una volta l’analisi della toponomastica di una determinata regione può divenire un interessante strumento per delineare un aspetto rilevantissimo dei paesaggi d’altri tempi, ossia quello inerente alla vegetazione.

Specie ora divenute particolarmente infrequenti nelle nostre campagne o nei residui boschivi sopravvissuti lungo il corso dei fiumi, come il carpino bianco, il cerro o altre specie di quercia, l’ontano nero, l’olmo campestre, il frassino, il ciliegio selvatico, il pioppo bianco e il pioppo nero, ormai quasi ovunque sostituiti dai pioppi ibridi euroamericani, e così via, un tempo molto comuni un po’ dovunque e distribuite a seconda delle loro specifiche esigenze ecologiche, sono rievocate dai nomi di luogo, le cui testimonianze diverrebbero ancor più frequenti se potessimo disporre anche della microtoponomastica, ossia dei nomi dei singoli appezzamenti di terreno di ciascun comune. Ma il nome di alcune località può riservare anche qualche sorpresa, come succede per il Fenile Faede di Comezzano-Cizzago che rievoca la passata esistenza, anche in ambienti di pianura, di boschi di faggio, derivando dal latino *fagetae, così come, probabilmente, rivela anche il nome di Monte Fogliuto di Carpenedolo, in dialetto Fojüt, che si può presumere derivato dalla voce dialettale fò “faggio”. Sono tracce di elevato interesse che, insieme a qualche altra emergenza del genere ‒ come ad esempio le aree rurali a nome le Faédule rilevabili a Ostiano, ovvero Faito e Faita, alle porte di Brescia, Faèt di Monticelli Brusati, ecc. ‒ testimoniano la passata e forse inaspettata esistenza di questo importante albero, ora diffuso per lo più in montagna, non solo alle basse quote di collina e del piano adiacente, ma anche in aree francamente di pianura.

Di una vegetazione boschiva più generica sono, invece, chiare testimonianze gli innumerevoli luoghi a nome Bosco, Boschi, con tutti i possibili alterati, come Boschina, Boschetta, Boschello e così via. Sono denominazioni anche relativamente recenti, la cui base *bosck è però di origine germanica, mentre certamente antichi sono i toponimi derivati dalla voce longobarda *gahagi “bosco riservato, bandita” che si riflette nel nome di località come Gazzo, Gazzi, Gasso, Gazzolo, Gazzadiga e simili. Questi nomi hanno talora sostituito quelli di origine più schiettamente latina derivati da ‘silva’ che definiva in precedenza lo stesso genere di vegetazione e che ritorna in nomi di luogo come Salvadonega di Leno (da *silva dominica “selva del padrone”), Salvella e Salvello di Rovato, Calvisano e Gambara, Selva e Selve, di Manerbio, Leno, Isorella, Selvatiche di Chiari, ma che si possono ritrovare in ambito rurale nel nome di campi e di prati come, del resto, succede per tutte le altre emergenze microtoponomastiche ispirate dalla presenza di alberi, anche di origine esotica, come la robinia, il gelso, il platano o il bagolaro.

                                                                                                                                       Valerio Ferrari

La Fondazione Civiltà Bresciana onlus, con il sostegno di Regione Lombardia, cura la realizzazione dell’Atlante toponomastico bresciano i cui risultati vengono progressivamente resi pubblici e sono consultabili all’indirizzo web  http://www.toponomasticabresciana.it/