Non avevo mai sentito nominare questo particolare tipo di giudizio penale, finché l’amico Samuele Pedergnani di Castelcovati mi ha mostrato un interessante documento da lui recuperato all’Archivio di Stato.

Dopo aver preso possesso del Regno Lombardo-Veneto con la Restaurazione, seguita ai trascorsi napoleonici, pare che la dominazione austriaca abbia applicato sul nostro territorio questa singolare forma di giudizio. Consisteva nella formazione istantanea di un processo, formato quasi sempre sul posto dove veniva commesso il crimine o dove veniva catturato il reo, per poi terminare in due soli modi possibili: assoluzione o pena di morte. Di fatto c’è chi considera questo istituto giuridico una sorta di giudizio sommario investito di un’apparente formalità.

Ma perché una tale applicazione? In sostanza si tratta di uno strumento di giustizia estrema, usata per il mantenimento dell’ordine pubblico in periodi di guerra o di insurrezione, che tuttavia nel Lombardo-Veneto venne applicata in periodo di pace. L’impero asburgico considerava politicamente instabile il territorio italiano sotto la sua dominazione (anche a ragione), e questo tipo di sentenze limitavano pesantemente la possibilità difensiva di coloro che venivano colti in flagrante o comunque in situazione criminosa (incluse rivolte, sommosse o manifestazioni varie).

Ovviamente anche l’amministrazione più reazionaria doveva ben guardarsi dall’esagerare. Applicare misure di questo tipo, se da un lato potevano fungere da monito alla popolazione, dall’altro apparivano come la presenza di uno Stato di Polizia, evidenziando la repressività dell’autorità. Perciò questa misura veniva applicata molto di rado dalle autorità asburgiche, e lo si capisce da come principia il documento passatomi da Samuele: «Dall’attivazione nel Gennaio 1816 dei Giudizi Statari nella Lombardia sino al giorno d’oggi, ebbero luogo nella provincia di Brescia otto convocazioni».

Il funzionario passa poi ad elencare i casi e scopriamo così che ben 2 di queste 8 sentenze sono avvenute in Rovato, il che rende queste esecuzioni le uniche sentenze di morte enunciate sul nostro territorio negli ultimi 6 secoli, dato che sia in periodo Veneto che in epoche successive, le sentenze capitali venivano eseguite altrove. Il funzionario ce le descrive lapidariamente.

«Nel 9 settembre 1817 si tenne un quarto Giudizio Statario nel luogo di Rovato contro Moretti Domenico, prevenuto in unione a cinque altri individui di rapina alla casa ed in danno di Pietro Ghidini. Convinto del delitto, subì la meritata pena della morte».

E ancora: «Il giorno 12 giugno 1825 si riunì per la sesta volta il Giudizio Statario in Rovato, e condannò alla pena di morte Agostino Caldera, che gli era stato presentato, siccome contabile della rapina commessa con sevizie ed in compagnia ad altri sulle persone di Giacomo Cantonati, Giovanni Travajoni e Giuseppe Festa». In quest’ultimo caso probabilmente si tratta di un colpevole catturato a Rovato ma dai cognomi dei coinvolti è probabile che questi delitti siano stati commessi altrove.

Non finisce qui, scorrendo gli altri casi ho scorto un nome a me già noto. Nel 3 marzo 1828 a Bornato fu catturato Giovanni Cavalli (1777-1829) di Duomo, che insieme ad altri aveva rapinato Domenico Tonelli. Inizialmente erano stati condannati, ma stranamente si attesero due giorni e alla fine la Commissione Stataria ordinò che questi fossero giudicati ordinariamente. Per il Cavalli comunque non andò bene, evitò la pena di morte sul posto, ma venne condannato a 20 anni al carcere duro di Mantova perché recidivo, morendovi dopo solo 1 anno di galera (le prigioni non erano certo un ambiente salutare e confortevole).

Alberto Fossadri