Gottolengo, Farfengo, Ovanengo, Zurlengo, Rodengo, ai quali si può aggiungere Berlingo, sono nomi di paesi bresciani (ma anche Isengo di Soncino) che condividono il finale in -engo/-ingoe, come si è già visto per i nomi di luogo terminanti in -ano, di epoca romana, anche qui si tratta di toponimi dall’origine comune, in questo caso altomedievale, e di tradizione germanica. Insieme a qualche altro antico abitato ormai scomparso (Astalengo, Farsengo, Ortengo, ecc.) si tratta di insediamenti nati in un’epoca in cui sui nostri territori dominavano popolazioni giunte in vario tempo e modo dalle regioni d’Oltralpe, ossia i Goti, i Longobardi, i Franchi insieme a qualche altra tribù minore. Anche in questo caso il suffisso -engo esprime un legame di appartenenza o di relazione e alla base della maggior parte dei nostri toponimi bresciani, come di quelli analoghi di altri territori lombardi, piemontesi o emiliani, si riconosce spesso un nome di persona (come Gota, Roding, Berilo), sebbene non sempre facile da precisare. Quindi il nome di questi abitati discende da quello di antichi gruppi familiari qui stabilitisi e contraddistinti dal nome del loro antenato capostipite. Ma l’eredità linguistica lasciataci da quelle popolazioni, progressivamente integratesi con le genti locali, si riflette in molti altri nomi di luogo. E sono soprattutto diversi termini di tradizione longobarda a costituire la base di numerosi toponimi tuttora esistenti. 

Luoghi a nome Breda, Brede, Bredacara, Bredadale, Breda Franca, Bredavico, Breda Bolda, Bredazzole e molti altri simili, derivano in ultima analisi dal termine longobardo braida “distesa pianeggiante vicina all’abitato”. Così pure toponimi come Gazzo, Gazzolo, Gazzoletto, Gazzi, Gazzadighe ecc. riflettono il longobardo *gahagi “terreno (bosco, pascolo o altro) riservato, bandita” indicativo di terreni, spesso boschivi, riservati all’uso o alle cacce dei signori locali, mentre alla voce *gaida “punta”, usata anche per contraddistinguere elementi geografici, come spigoli di terreno coltivato insinuati tra i boschi o simili, sembra di poter far risalire il nome di Ghedi. Stafanetto di Carpenedolo (in dialetto Stafalèt), potrebbe dipendere dal termine longobardo *staffal “palo o cippo di confine”, mentre nel nome del Fienile Gualdrine, presso Leno, secondo alcuni, sarebbe da vedere la voce longobarda *wald/guald “bosco, brughiera” e in seguito anche “insieme di terreni incolti e alberati” appartenenti al fisco.

Del resto non fa meraviglia ritrovare diverse eredità linguistiche longobarde in un territorio, come quello bresciano, dipendente da una città che già lo storico Paolo Diacono definiva come abitata «da una grande quantità di nobili longobardi» da cui scaturì la figura di Desiderio, fondatore, insieme alla moglie Ansa, dei monasteri di S. Salvatore di Brescia (753) e di S. Benedetto di Leno (758), e ultimo re dei Longobardi.

                                                                                                                                        Valerio Ferrari