Nella copertina (provvisoria) capeggia il Cicerone dei Musei Capitolini; il titolo è, volutamente, criptico, in quanto leggibile da due diversi punti di vista; l’opera in sé, agile e godibile, in perfetto stile “folliano”, si pone una domanda ben precisa: per quale motivo il latino è, per i più, studenti o meno, solo un inutile bisticcio?

“Si torna sempre dove si è stati bene”, recita il detto, e in un certo qual modo Carla Folli, professoressa orceana a riposo (si fa per dire), ha voluto tenere fede alla sapienza popolare pensando di tornare alle origini, agli inizi della romanitas e del suo stesso innamoramento per le humanae litterae. Semplicemente un vezzo di una classicista nostalgica? Se traspare innegabile una certa componente di nostalgia, in fondo l’obiettivo della Folli in questo suo ultimo libellus è proprio quello di guardare al passato, sempre e comunque con l’occhio attento di chi, per anni, è stato dietro alla cattedra osservando minuziosamente, in dies, l’evolversi della fascinazione di generazioni di studenti per la cultura dell’antico Mediterraneo.

“Pensa, opera, inventa, pondera in lingua latina” verrà presentato il prossimo 27 ottobre 2022, dalle 20.30, presso il castello di Padernello con la partecipazione di Augustinus Benacus, “il” Garda (determinativo d’obbligo), l’amico Agostino, uomo di lettere e di cultura che, summa cum cura, mai ha dimenticato le proprie origini.

 «Ho profuso il mio impegno, condito di divertimento, in questa operazione da vecchia insegnante che non si rassegna ai maltrattamenti inflitti ad un mezzo comunicativo che dovrebbe invece essere curato e rispettato, dal momento che costituisce anche una sorta di carta d’identità per chi lo usa – commenta l’autrice, firmatasi Maria Carola Follis – Ne è venuto fuori un libretto che rappresenta una sorta di “omaggio” al latino, in chiave anche un po’ ironica e giocosa, per dimostrare che tutto sommato l’antica lingua non è quella bestia nera che negli anni Sessanta si voleva eliminare in nome di una “democratizzazione” della didattica e che di fatto è poi stata eliminata». Che sia per scoraggiare le uscite di qualche impettito intellettuale da salotto o solo per la volontà di ribadire quanto di contemporaneo ci sia nella riflessione degli antichi, questo piccolo testo si erge come un gigante contro l’ignominia che macchia i detrattori della lingua di Cesare, Cicerone e Virgilio. Vecchio, polveroso e apatico: così, oggi, tanti, troppi, considerano il latino. Mi chiedo: hanno mai riflettuto su quanto l’ambizione possa corrodere il cuore di uomo? Hanno mai fantasticato, tra sé e sé, dopo una debacle amorosa? Hanno mai brindato augurandosi quanto di meglio? Ecco un consiglio da inamovibile classicista: si leggano Lucano, Tibullo, Orazio e, ovviamente, come antipasto, l’ultima fatica della Folli. Scopriranno, così, quanto di contemporaneo c’è nell’antico e con quanta straordinaria limpidezza le incertezze dell’uomo abbiano trovato, nell’evo antico, magistrali interpreti.

Leonardo Binda