Cara Giusy, 

scusa la punteggiatura ma lo sai, sono sempre stata una frana in questo nonostante tutti i tuoi sforzi per insegnarmela e perdona le mie “inglesaggini” grammaticali che negli ultimi anni ti han fatto sorridere.

Allo spuntare dell’alba ti penso, guardo con occhi lucidi il cielo grigio di questo surreale inizio d’estate londinese.

C’e’ un po’ di brezza e, nel silenzio, riempio i polmoni d’aria fresca mattutina che sà di grandi partenze o grandi ritorni.

Lontana da casa, ho il rammarico di non averti potuto salutare prima del tuo ultimo viaggio.

Anch’io ho finito per viaggiare come tanti dei tuoi ex alunni. 

Un giorno mi dicesti: “Alcuni genitori ancor oggi mi rimproverano il fatto d’aver instillato nei loro figli la voglia di viaggiare“. 

Come non avresti potuto con tutti i tuoi racconti di viaggi ed avventure in paesi e culture lontane?

Racconti di come barattasti con dei bambini in Africa alcune penne Bic per una pietra di quarzo che ti piaceva tanto e che portasti al collo per decenni.

La descrizione delle ispezioni e dei controlli alla frontiera di Berlino Est quando ancora c’era il Muro. Alcuni tristi ricordi della guerra come quando un soldato tedesco e il resto del suo commando sequestrò casa vostra, piangendo poi ogni giorno nel mostrare a te e alle tue sorelle la foto delle sue figlie, circa della vostra stessa età e mentre piangeva vi chiamava “come mie piantine” anziché bambine, col messaggio tra le righe, che la guerra è brutta, sempre e per tutti e nel tuo caso un po’ ingiusta. 

Vicende che ti incupivano quando ne sfioravamo l’argomento, ”bollata” da chi probabilmente non capiva la tua superiorità morale e forse si sentiva minacciato  dalla tua forza di carattere. Ti umiliarono, ti tagliarono i capelli, ti chiamarono collaborazionista, e tu te ne tornasti a casa a testa alta perché non avevi motivo di vergognarti e nessuno aveva diritto di farti sentire umiliata, pochi ti avevano capito.

Eventi che ti han resa riservata e cauta nelle relazioni ma, allo stesso tempo, portata sempre più vicina al mio  cuore.  

Ricordo con tenerezza quando, da bambina, ogni giorno ti aspettavo trepidante al cancello della scuola, tentando di intravedere qualche movimento attraverso le finestre di casa tua e  non esisteva la pioggia, il freddo, o la neve. Abitudine che dilagò poi anche tra i miei compagni di classe, l’ultima tua classe  prima della pensione.

Recentemente ne parlavamo e mi hai confessato che anche tu ci spiavi dalla finestra  per vedere se eravamo lì al cancello, cosa che ti faceva sorridere.

Ti sentivi amata e lusingata, anche perché eri l’unica maestra attesa ed accolta in quel modo e quando ti facevo notare che tanti tuoi ex allievi ti ricordavano ancora con affetto, sorridendo dicevi: “ beh, se tanti dei miei allievi si ricordano di me, forse vuol dire che qualcosa ho fatto di giusto nella vita. Ho il rimpianto di non aver avuto figli ma voi siete stati un po’ i miei figli”.

Solo negli ultimi anni mi confessasti che io avevo un ”posto” speciale nei tuoi pensieri, dopo tanti anni di carriera insegnando a generazioni di bambini, incontrasti me, una bimba piccina e magrina che condivideva  con te lo stesso giorno del compleanno, l’unica in tanti anni.

Ci siamo fatte puntualmente gli auguri per quarant’anni, tutti gli anni, col tacito accordo che non ci saremmo mai fatte regali, se non in occasioni veramente speciali.

Con gli anni sei diventata molto più che la mia maestra, quella che mi ha insegnato a “leggere, scrivere e far di conto”.

Sei stata una mentore, un’amica, una confidente… ad ogni mio ritorno eri una piacevole e stimolante visita obbligata.

Negli anni ci siamo scoperte terribilmente affini, ci capivamo con uno sguardo, una carezza, un sorriso, una stretta di mano.

Ridevamo del fatto che quando entrambe fumavamo spegnevamo le sigarette nello stesso modo e che accartocciavamo la carta delle caramelle alla stessa maniera. 

“Siam proprio nate lo stesso giorno”, dicevi.

Eri così contenta quando io e la cara Laura Regazzi, anch’essa tua ex allieva, ti portavamo fuori per pranzo o per una cena e tutte le volte dovevamo ribadirti che non lo facevamo per compassione, come tu temevi, ma veramente ci piaceva tanto la tua compagnia.

Quante ultra ottantenni possono vantare il fatto di potersi cimentare ad imparare un’altra lingua oppure leggere tutta la serie di Harry Potter.

Parlavamo di politica, della cronaca in generale, discutevamo della vita. 

Mi hai lasciato un libro “Fiabe da tutto il mondo” che mi assegnasti da leggere per esercitarmi durante l’estate.

Sono passati tanti anni ma ogni tanto ancora lo rileggo.

Mi hai lasciato un vocabolario italiano-francese estratto a sorte l’ultimo nostro giorno di scuola, quando decidesti di lasciarci i tuoi libri.

Mi hai lasciato un bellissimo portagioie che mi regalasti il giorno della mia laurea.

Mi hai lasciato un bellissimo centrino di macramè che facesti per me al mio primo rientro dall’Inghilterra.

Mi hai lasciato un gran vuoto nel cuore.

Mi spiace non essere riuscita a portarti al mare, ma almeno son riuscita a dirti che ti volevo tanto bene.

Mi manchi e mi mancherai cara Giusy, non eri solo una Grandi, sei stata una “Grande”.

La tua Elenina

Elena Pedretti