Quanti litri d’acqua costa e quanto inquinamento atmosferico comporta, veramente, la produzione agricola e zootecnica del nostro territorio? Nonostante si tratti di un argomento che potenzialmente potrebbe riempire centinaia di pagine di studi e discussioni, a causa della sua complessità e dei numerosi punti di vista in merito, è comunque possibile focalizzare con puntualità alcune questioni centrali del tema.

Potremmo partire, tra gli altri, da uno studio pubblicato alcuni anni fa a firma di Ettore Capri, ordinario della Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari ed ambientali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Quante volte, su giornali e pagine social, abbiamo letto che per produrre un solo chilo di carne di bovino siano necessari ben 15mila litri d’acqua? Oppure che alla produzione alimentare sia destinato circa il 70% di tutto il consumo idrico del Pianeta? Da dove provengono questi dati? Per lo più, come sostenuto nel succitato studio, da delle semplificazioni. Se è bene non giudicare un libro dalla copertina, è anche opportuno che chi si prende la briga di imbastire ricognizioni tanto importanti ponga l’accento su ogni singolo aspetto, ogni singola variabile meritevole di essere considerata.  Primo elemento che balza all’occhio è che a questi dati non vengono generalmente espunti i valori della evapotraspirazione delle produzioni di foraggio che, essendo un elemento vegetale, di fatto fa sì che buona parte dell’acqua che esso ottiene dal suolo venga poi restituita all’atmosfera. Sempre citando il medesimo studio, anche solo tenendo presente questa accortezza, ci si rende conto di come l’intera filiera dell’allevamento, almeno in Italia, impieghi e non restituisca all’ambiente solo il 10-20% delle risorse idriche necessarie per la produzione di quel famoso chilogrammo di carne a cui si accennava pocanzi. Una stima, dunque, fortemente al ribasso rispetto alle cifre astronomiche presentate da altri studi.

Per portare un’altra testimonianza, poche settimane fa, in occasione dei lavori della Cop26 a Glasgow, la Coldiretti ha pubblicato sul suo sito un interessante reportage che mostra, dati alla mano, quanto l’agricoltura italiana sia la più green di tutta Europa. Anche in fatto di emissioni ed inquinamento atmosferico il settore costituisce da sempre un capro espiatorio prediletto per i propri detrattori. Eppure, come riportato dallo studio, l’agricoltura italiana è responsabile solo del 7,2% di tutte le emissioni di gas serra prodotte a livello nazionale, pari a circa 30 milioni di tonnellate di CO2, contro le 76 milioni di tonnellate prodotte in Francia e le 66 della Germania, altri due Paesi che per vocazione e tradizione puntano ampiamente sulle proprie produzioni agroalimentari, avvicinandosi maggiormente ai dati al Regno Unito, con 41 milioni di tonnellate, e alla Spagna, con 39 milioni di tonnellate prodotte. 

A fare da traino per questa rivoluzione verde sono gli stessi allevamenti, fattore essenziale per la produzione di quei “rifiuti” che in una logica assolutamente ecosostenibile sono diventati ora (e lo saranno sempre più in futuro) delle risorse di primaria importanza. Si pensi ad esempio ai liquami e al letame, fondamentali per la produzione di biometano e per la sua successiva distribuzione su tutto il territorio nazionale, valida alternativa ai combustibili fossili e alle fonti energetiche non rinnovabili.

Una serie di informazioni e soluzioni che meriterebbero senz’altro di essere approfondite, discusse e messe a confronto, con il chiaro intento di raccontare le cose per ciò che realmente sono e non fare da semplice megafono a chi ha interesse (perché di questo si parla) a modificare le nostre tradizioni culinarie e a demonizzare la nostra agricoltura per riempire gli scaffali di carne sintetica ed altre simili fantascienze.

Leonardo Binda