La bellezza della nostra tradizione sta nelle piccole comunità. Gruppi omogenei di donne e uomini, dediti alla fatica nei campi e ad un incrollabile forza di spirito, hanno saputo forgiare come dal metallo fuso l’ossatura di una società che pian piano, nel silenzio, sta lasciando il passo ad un nuovo modello costellato di idoli fugaci e senza spirito. 

E’ nel racconto di una conversazione di un cittadino della piccola ma generosa comunità di Ovanengo che si ripercorre, con la dolcezza dei ricordi che affiorano, il passato di un paesello tanto suggestivo quanto ricco di relazioni. A raccontare è Martino Venturini, “adottato” dalla città, che ricorda un colloquio del passato con l’amico Battista Gandelli, ovanenghese verace.  

“Qui, ad Ovanengo viviamo in pochi ormai. Contiamo circa centodieci anime. Vedere le impalcature e le imprese che lavorano per la ristrutturazione della nostra chiesa ci fa sentire fiduciosi, felici. Pensa che nei primi anni ’60 la popolazione contava più di milleduecento persone –  raccontava Venturini – Diverse sono le famiglie che hanno contribuito a dare lustro al nostro paesello ma soprattutto ad Orzinuovi. La famiglia Pezzola, la famiglia Tolasi, Dognini, Toninelli, Spinelli e altre ancora e altre che al momento non mi vengono alla mente”.

Un ricordo che si fa vivo riportando alla mente la Ovanengo del passato. “Avevamo una bella scuola, sia materna che elementare, bar, negozi, trattorie e l’oratorio. C’era anche lo studio medico del dottor Aldo Sartorio, avuto in uso gratuito dal dottor Pezzola – rammenta Venturini – Cascinali importanti come Terraverde e Jaga facevano riferimento ad Ovanengo. La nostra chiesa, intitolata a San Giorgio è di una straordinaria bellezza, conservando al suo interno dipinti di grande pregio. Come dimenticare poi il secolare molino Rongaroli, in attività da più di cento anni, oggi meta di moltissimi appassionati e giovani studenti”

E poi, il bel ricordo delle campane del paese, che scandivano d’ora in ora lo scorrere del tempo.

“Ricordo che, da bambini, le cinque campane erano state tolte, probabilmente per la guerra di allora ancora in corso, e che vennero successivamente riportate sul sagrato. Incisi vi erano i nomi delle famiglie che avevano contribuito alla loro manutenzione e al ripristino – ha ricordato Venturini, citando le parole di Gandelli – Noi bambini andavamo spesso lì a giocare. Il sacrestano le custodiva e prima di ogni Santa Messa, con un bastone fatto a proposito, le suonava. Ricordo bene quei momenti. Quel suono e quell’atmosfera per la gente di Ovanengo era magica”. Infine il ricordo di una bella festa. 

“Convinto di dover dare un segno ancora più grande, decisi di raccogliere le adesioni tra svariate figure che ruotavano attorno all’ospedale Tribandi Pavoni, organizzando un grande evento ad Ovanengo nell’ormai lontano 2008 – ha concluso – C’erano moltissime persone, tra infermieri, medici, politici e tanti amici. E’ stato un momento conviviale che ha mostrato l’attaccamento di molti al nostro paesello, nella speranza che, in futuro, alcune delle sue brutture, ancora esistenti, possano diventare opportunità di crescita e sviluppo, vedendo le nostre cascine riempirsi di generazioni di (nuovi) giovani ovanenghesi, nel cuore e nello spirito”.

Leonardo Binda