Un’antica fiaba celtica racconta la storia di cinque figli di un re irlandese Eochaid. Un giorno i figli andarono a caccia e si persero. Non riuscivano a trovare la via del ritorno e la sete si faceva sentire per cui ad uno ad uno si misero a cercare una sorgente d’acqua. Il primo di loro fu Fergus il quale dopo un po’ intravide un pozzo che era custodito da una anziana donna dai lineamenti sgraziati, i capelli grigi, ispidi e un’espressione malsana; le gambe erano così storte e deformi che chiunque la vedesse avrebbe potuto pensare ad un essere di tutt’altra specie. Fergus volle assicurarsi che fosse lei la custode del pozzo e una volta ricevuta la risposta affermativa le chiese se poteva prendere dell’acqua da portare via; la risposta fu un sì ma ad una condizione: per ricevere l’acqua Fergus doveva baciarla. Egli rifiutò risolutamente giurando che sarebbe morto piuttosto che baciare quell’essere immondo per cui se ne andò. Anche gli altri tre fratelli fecero la stessa cosa; trovarono il pozzo e l’anziana donna, ma si rifiutarono categoricamente di baciarla così come aveva fatto il primo dei fratelli. A questo punto toccò il quinto fratello, chiamato Niall. Questi, contrariamente agli altri, trovò il pozzo, incontrò la donna e, conosciuti i termini dell’accordo, accettò non solo di baciarla, ma anche di abbracciarla. Non appena lo ebbe fatto, la custode del pozzo, dall’essere deforme qual era, si trasformò in una bellissima donna e permise così a Niall di prendere tutta l’acqua che voleva e di portarla ai suoi fratelli. Prima di incamminarsi sulla strada del ritorno, gli diede una benedizione, per lui e per i suoi figli, dicendo che avrebbero avuto un regno molto potente. Infine, disse che lui, diversamente dai suoi fratelli, era stato capace di andare oltre le apparenze e di guardare dritto nel cuore della persona con generosità e bontà d’animo anziché nutrire repulsione. Alla fine la donna rivelò la sua vera identità dicendo di essere la “Legge Reale”. Ed era proprio questa la legge reale: andare incontro a ciò che non desideriamo con gentilezza, invece che con il netto rifiuto. Questa storia ci aiuta a capire quale può essere la direzione da intraprendere quando ci troviamo immersi nella difficoltà; anziché rifuggire, negare, rifiutare ciò che non desideriamo, la fiaba ci aiuta ad assumere un atteggiamento compassionevole, di accoglienza e non di avversione verso ciò che non vogliamo vedere o sentire. Abbracciare le “ferite” apparentemente potrebbe suonare come una forma autolesionistica, un farci ulteriormente del male come se stessimo gettando benzina sul fuoco; in realtà è imparare a conoscere la ferita nella sua parte più profonda, iniziare a fare luce sulle ombre, che, spesso, custodiamo gelosamente e segretamente. Significa entrare in una relazione diversa con tutto ciò che non ci piace, che ci fa soffrire, che ci mette a disagio e verso cui la nostra naturale tendenza è quella di provare avversione o di evitare. Se adottiamo la maniera degli altri fratelli rischiamo di rimanere vittime di pregiudizi, preconcetti e convinzioni: in altre parole restiamo imprigionati nelle nostre tensioni, nei nostri malesseri, incapaci di allargare gli orizzonti della nostra esistenza. Proviamo, al contrario, ad affrontare e ad incontrare con amorevole gentilezza quelle parti non desiderate di noi stessi e lavoriamo con esse! Eviteremo di soffrire la sete come è successo agli altri fratelli!   

Dr. Ettore Botti

Presidente del Centro per la Famiglia