Durante la mattinata di giovedì 9 febbraio, la nostra classe, la 4°A Liceo Scienze Umane e altre classi quarte del nostro Istituto Cossali di Orzinuovi si sono recate in Auditorium per assistere alla videoconferenza, organizzata dalla Biblioteca d’Istituto, con Edith Bruck, autrice del libro sulla memoria dell’Olocausto “Il pane perduto”, il quale ha avuto l’onore di vincere il premio Strega nel 2021.
Edith è una scrittrice, poetessa, traduttrice, regista e testimone della Shoah. È ungherese, ma ha vissuto gran parte della sua vita in Italia, scrivendo i suoi testi in una lingua non sua, ma che le ha permesso di esprimere con minor condizionamento i suoi ricordi legati alle atrocità della deportazione nei campi di sterminio. La sua famiglia era di religione ebraica: per questo motivo, nel 1944, quando la scrittrice aveva appena 13 anni, è stata deportata nel campo di concentramento di Auschwitz. Successivamente, è stata trasferita in altri campi analoghi come Kaufering, Landsberg, Dachau e Bergen-Bielsen.

Nell’aprile 1945, poi, è stata liberata insieme alla sorella Judith, di quattro anni più grande. A questo punto, è tornata in Ungheria, per poi spostarsi in Cecoslovacchia e, infine, in Israele.
Edith ha dato l’opportunità a noi studenti di poterle porre alcuni quesiti al fine di chiarire i numerosi dubbi a proposito del libro letto.

Ha raccontato che, sin dal primo attimo in cui è arrivata nei lager, ha provato delle emozioni tremende e indescrivibili, quali timore, terrore e estrema paura.

Inoltre, ha sottolineato il fatto che nei campi di concentramento si trovava impossibilitata a stringere amicizie: i legami erano inesistenti. Fortunatamente però, al suo fianco era presente l’amata sorella, che le faceva forza.

Durante l’incontro con Edith, lei ci ha offerto il racconto di cinque episodi molto importanti, scritti anche nei suoi libri ed esposti a Papa Francesco. Tali episodi sono da lei soprannominati “Le cinque luci”. Dal suo racconto sono emersi due teneri avvenimenti di misericordia, come ad esempio quando un soldato, con un minimo di pietà, durante la selezione, le ha sussurrato di andare a destra e non a sinistra come le avevano ordinato i capi, dal momento che se rimaneva sul lato sinistro sarebbe stata subito mandata alle camere a gas. Il secondo episodio è quello in cui il cuoco del campo, dall’animo buono e gentile, ha chiesto ad Edith come si chiamasse nonostante lei non riuscisse a rispondere: questa vicenda le ha fatto finalmente comprendere il fatto di essere viva, di possedere un nome e di non essere considerata esclusivamente come un numero.

Con immensa gioia, inaspettatamente, il giorno 15 aprile 1945, dopo una lunga attesa, i deportati sono stati liberati dai lager grazie all’esercito sovietico. In un primo momento i soldati dell’esercito li hanno caricati su un camion per portarli immediatamente verso l’ospedale per un controllo delle loro condizioni fisiche.

In un secondo momento, dopo aver ripreso le forze, Edith e la sorella sono state portate in Ungheria. All’arrivo in patria, purtroppo, non era presente nessuno che le attendesse a braccia aperte: forse avevano tutti paura di sentire quella storia terribile di prigionia. Inizialmente le due ragazze non sapevano né dove andare né dove dormire, ma poi scoprirono che, fortunatamente, due delle loro sorelle erano riuscite a sopravvivere. Edith racconta che, una volta uscita dal campo, ha avuto estreme difficoltà nel relazionarsi con le altre persone e a fidarsi del prossimo. Ha provato tali sentimenti di diffidenza durante i suoi numerosi viaggi in Francia, Germania ed Israele, che doveva rappresentare la terra promessa. Invece ha ritrovato se stessa e un territorio favorevole dove fermarsi e mettere radici nella nostra Italia: nel 1954 sbarcò a Napoli e le sembrò di essere arrivata in un mondo totalmente diverso. Le persone erano solari, socievoli, le sorridevano ed erano immensamente cordiali nei suoi confronti.

Nel corso del periodo di riappacificazione con il proprio passato, ha avuto la fortuna di avere al suo fianco suo marito, Nelo Risi, ovvero la prima e unica persona che è riuscita ad ascoltare e a comprendere, con molto tatto, il suo vissuto. Inoltre, con lui ha creato una meravigliosa famiglia che porta sempre nel cuore. Negli ultimi anni della vita del marito, Edith si è presa cura di lui, visto che era affetto dalla malattia dell’Alzheimer, proprio come lui aveva fatto nei suoi confronti. Questi sono considerati da lei i migliori dieci anni della propria vita, in cui ha avuto l’opportunità di ripagarlo con il suo stesso amore.

Durante l’incontro c’è stato un momento molto commovente e toccante in cui l’autrice è scoppiata in lacrime ricordando l’immenso affetto per sua madre, regalandoci forti emozioni.
Lei, da piccola, era sempre in conflitto con sua madre perché la donna sosteneva di vedere Dio in ogni luogo e esortava continuamente tutta la famiglia alla preghiera. 

Invece Edith si sentiva ancora in ricerca: la fede per lei è ancora un interrogarsi e scrivere lettere a Dio, in cui chiede di avere la possibilità di illuminare con il ricordo tante giovani menti.
Alcune frasi, pronunciare da Edith sono da ricordare sempre.

Lei ha detto che: “Il dolore vissuto non si può raccontare”, dato che non si possono trasmettere fino in fondo le atrocità compiute dagli esseri umani.

Nel momento finale ha espresso questa importante osservazione sull’uguaglianza di tutti, anche nella diversità: “Bisogna amare e rispettare la vita di ognuno perché ha esattamente lo stesso valore della tua”. Lei pronuncia questa frase per cercare di fare aprire gli occhi ai giovani e far comprendere loro i veri valori della vita che ci è stata donata.

Nei libri che scrive, lei si sente libera di esprimersi anche grazie ai numerosi ragazzi che incontra nelle scuole e che si appassionano ai suoi racconti.

Edith ormai sostiene di non aver più paura di nulla dopo tale esperienza, soltanto del mondo che pian piano continua a peggiorare a causa degli stessi uomini e dei medesimi avvenimenti di violenza e di guerra. Infatti, come dice Machiavelli “la storia è maestra di vita”, ma nonostante ciò, gli uomini non riescono a cogliere i suoi insegnamenti.

Malgrado ciò, attualmente lei non prova odio per nessuno, neppure per i tedeschi…È davvero un esempio di grande umanità, di persona che ragiona con il cuore.

Per concludere, con piacere, abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare la sua poesia intitolata “27 Gennaio”, in ricordo della giornata della memoria. E abbiamo applaudito con forza.
A nostro avviso, è stato un magnifico incontro in cui la nota scrittrice Edith Bruck ha fornito una completa testimonianza, a tratti assai emozionante, sulla Shoah, andando a toccare anche degli aspetti molto privati della sua vita. Storia e vita unite in un susseguirsi di parole, di emozioni, di ricordi. Da tenere a mente per noi e le generazioni future.

Vittoria e Giulia della classe 4°A Liceo Scienze Umane