Cosa succede quando il mondo ci crolla addosso? Quando cadiamo sotto i colpi della sventura? Quando sembra che non ci sia nessuna possibilità di trovare una via di uscita? In queste condizioni la vita si fa veramente dura, se non impossibile, e una miriade di pensieri si presentano all’istante. È come se in automatico comparisse agli occhi della mente l’elenco di tutte le altre volte che le cose sono andate storte, dei torti che abbiamo subito, delle ingiustizie vissute, dei progetti mancati alimentando così un clima emotivo interno fatto di sentimenti di frustrazione, di emozioni di rabbia, di tristezza. A ciò si aggiungono i giudizi negativi, le critiche verso se stessi per non essere stati capaci, bravi, adeguati, forti, all’altezza delle situazioni; oltre alle “sberle” che riceviamo dalla vita e contro cui lottiamo con tutte le nostre forze, fisiche ed emotive, non mancano le sberle che ci diamo per il fatto di considerarci dei “falliti”, degli “incapaci”, “inferiori”, ecc. e il circuito vizioso innescato produce così altre emozioni negative. In questi momenti difficili veniamo sopraffatti dal vociferare continuo della mente con pensieri del tipo “Perché succedono proprio a me!”, “sono una frana”, “come al solito ho combinato un casino”, “sono uno sfigato/a”, “ecco chissà cosa adesso succederà”. Quante volte ci siamo trovati in compagnia di tali pensieri ed emozioni? Quante volte abbiamo combattuto per non sentirne il peso e per scongiurarli? Un dialogo interno estenuante e soffocante per la sua carica esplosiva e distruttiva; un dialogo, però, che non ha nulla di pratico e di vantaggioso. Il fatto di accorgersi di questo estenuante chiacchiericcio può essere una prima condizione per rendersi conto anche di quanto sia inutile. La domanda da porsi potrebbe essere questa: è utile continuare a ritornare su giudizi, critiche negative su di sè, pensieri catastrofici, inquietudini per il futuro, fantasie di possibili sventure? Che vantaggio stiamo ricavando da questo dialogo interno? La mente fa il suo mestiere che è quello di portandoci o nel passato o nel futuro nel modo che conosciamo, per cui se le diamo corda, se le permettiamo cioè di condurci là dove va abitualmente, rischiamo di venire risucchiati dalla spirale che essa inevitabilmente crea. Oltre ad essere molto dispendiosa in termini di energia investita, questa spirale alla fine risulta deleteria per il nostro umore. Possiamo cambiare, sostituire questi pensieri di autocritica? Potremmo imparare anche a farlo, trovando modi più gentili verso noi stessi e sicuramente sarebbe un’accettabile soluzione, ma probabilmente non distoglieremmo la mente dal suo lavoro di produzione di quei pensieri negativi. Potremmo riuscire a tenerli sullo sfondo, ma ritornerebbero in primo piano al primo errore commesso, alla prima occasione mancata. Se, al contrario, anziché lottare contro queste “mazzate” che la vita ci dà e che ci diamo, provassimo a porci in una condizione di apertura, di accettazione di quanto avvenuto, senza rassegnarsi, potremmo imparare a vedere le cose con distacco per non esserne investiti in pieno. Se considerassimo poi questi pensieri come semplici pensieri transitori, eventi mentali e non fatti, verità, come spesso crediamo, forse comincerebbero a perdere di gran lunga la loro forza e potremmo cominciare a sganciarci da loro, proprio perché privi di utilità pratica. Lasciare cioè che i pensieri vadano e vengano come nuvole di passaggio senza trattenerli, magari riconoscendoli ed etichettandoli (ecco che è arrivato il pensiero di autocritica, sto avendo un pensiero di preoccupazione, è arrivato il solito giudice infallibile…), è la condizione per non venire risucchiati nel loro vortice. Se ci pensate, non siamo fatti per trattenere, bensì abbiamo bisogno dopo un po’ di espellere, buttare fuori, eliminare. Il respiro è vita per il nostro organismo, per le nostre cellule ma cosa succederebbe se lo trattenessimo più del necessario? Così è fatta la mente: se tratteniamo più del necessario rischiamo di stare male e di intossicarci. Lasciare andare è allentare la morsa distruttiva che alcune volte noi applichiamo a noi stessi attraverso un certo modo di pensare e di relazionarci alla realtà. Fermarsi, riconoscere, accogliere ciò che sta succedendo fuori e dentro di noi e successivamente lasciare scorrere senza trattenere è la via maestra verso una condizione di benessere interiore che parte dalla consapevolezza del presente, da un ancoraggio al qui ed ora. Un primo passo lungo la strada della liberazione.

                                                                                  Dott. Ettore Botti

                                                               Presidente Centro per la Famiglia di Orzinuovi