Sono sparite anche da Montichiari in un agosto afoso come pochi e nessuno o quasi se n’è accorto. Sto parlando delle cabine telefoniche, i “brontosauri” della comunicazione, elementi urbani ormai da tempo inutilizzati, accanto ai quali passavamo spesso indifferenti e che, nell’era dei cellulari, erano diventati veramente obsoleti. L’autorità di garanzia delle comunicazioni AgCom ha recentemente stabilito che l’operatore Tim non sarà più obbligato a garantire questo servizio pubblico, dando così carta bianca allo smantellamento di 16mila cabine telefoniche sul suolo nazionale entro la fine dell’anno (resteranno solo quelle negli ospedali, caserme e carceri). Tra queste ci sono anche quelle monteclarensi. Prima è sparita quella in Corso Martiri della Libertà, l’unica ancora chiusa con quell’anta a “saloon” che ci permetteva, infilandoci dentro, di immaginarci tutti come Superman e poi, per ultima, pochi giorni fa, quella aperta, più moderna, all’angolo tra via Cesare Battisti e via Gabriele Rosa. Proprio su questa per tutta l’estate ha campeggiato un cartello: “La postazione sarà dismessa l’11/08/2023” Chissà perché, lì per lì, quella frase perentoria mi pareva indicasse qualcosa di molto più grave, simile all’andarsene all’altro mondo, al non sentire più nulla, al morire… Che fine farà quella piccola cabina –  mi sono chiesta – chissà se diventerà un pezzo da museo o da collezionismo per i nostalgici della cultura pop del secolo scorso o peggio finirà – Dio non volesse – in qualche discarica urbana, in qualche angolo polveroso di un ferrivecchi. Mi pareva inaccettabile il suo destino perché con la fine di questo strumento di comunicazione finisce dopo più di mezzo secolo un po’ anche la storia di ognuno di noi. Una storia fatta di attese perché la postazione si liberasse, di file (infinite nelle località di villeggiatura) che erano quasi un rito da accettare pazientemente facendo saltellare nella mano quella monetina stramba dal valore di 200 lire, “il gettone”, il cui rumore sordo, cadendo, tracciava un mondo di parole e sentimenti che nascevano e morivano in quell’attimo di corrispondenza. E, mentre si aspettava, si pensava. Si valutavano bene le frasi da dire perché si sapeva che il tempo non era infinito. Le parole giuste da riservare alla famiglia, agli amici, al proprio lui o alla propria lei che ci attendeva all’altro lato della cornetta. Alla mamma, durante il servizio militare, dove la chiamata a casa, tra lacrime e singhiozzi, scandiva il ritmo stesso del primo distacco madre/figlio e dell’emancipazione maschile. A pensarci ora, sembra veramente che quelle telefonate fossero doppiamente preziose, avessero un sapore speciale e un valore profondo, qualcosa che non poteva essere comprato facilmente ma che implicasse gesti e riti che dettavano il desiderio assoluto di parlarsi. Non come ora in cui tutto è talmente estemporaneo da scadere nel banale. Certo la cabina telefonica era, ed è stata, anche molto altro: rifugio per la pioggia, latrina, luogo di scritte oscene, posto dal quale vennero letti i comunicati dei brigatisti, in cui si avvertì della morte di Aldo Moro…spazio d’amore e di dolore inconsapevole, porta magica del passaggio della storia della nostra nazione e di tutti noi. Ecco, con la rimozione dell’ultima cabina se ne va un simbolo: quello del passato che, nostalgicamente, risulta sempre più romantico del presente. Se ne va una macchina del tempo che ci veicolava in un’altra dimensione dove vivevano solo le parole e non i volti. Un luogo geografico di mille sentimenti che da qualche parte in fondo al cuore continueremo a tenerci stretto. 

Marzia Borzi