Signor direttore,

desidero rivolgere il mio pensiero a Enrico Lorandi, scomparso recentemente nel mio paese natale, Veolanuova, dopo aver visto il tragico annuncio, leggendo i necrologi sul giornale. 

La terribile notizia mi ha sconvolto, una notizia tanto inaspettata quanto per me dolorosa. 

La sua prematura scomparsa mi ha riportato alla memoria quel periodo in cui le nostre vite di ragazzi si sono incontrate, nel nostro amato paese natale. 

E’ stato come un tuffo nel passato e ritornare con la mente ad un periodo felice e spensierato come quello dell’adolescenza. 

Una parentesi pur breve in cui abbiamo percorso la stessa strada, sedendo sugli stessi banchi di scuola sotto la guida del nostro amato maestro, Giuseppe Redana, che ci infiammava gli animi leggendo il libro “Cuore” nel momento culmine delle elezioni in cui, rapiti, prestavamo più attenzione. 

A distanza di molti anni ricordo quel periodo con un misto di malinconia, ma allo stesso tempo anche di stupore nell’accorgermi di quanto quei ricordi siano ancora impressi nella mia memoria. Forse, perché le amicizie che nascono sui banchi di scuola non sono come le altre, io non posso fare a meno di pensare a quei giorni passati insieme anche ad altri amici che mi hanno lasciato prima di Enrico. 

La sua allegra semplicità, nei modi e nei gesti, faceva da collante nell’amicizia coi nostri coetanei. 

Enrico è stato uno dei compagni con cui ho legato da subito, che sentivo più simile a me, visto che eravamo di famiglie economicamente modeste e numerose. Con “Rico” si aveva sempre la sensazione di poter parlare apertamente, in maniera schietta e sincera, era uno che non tradiva mai, con quel sorriso sul suo bel volto, anche quando la pensavamo diversamente, anche se non frequentemente, per cui bastava una sua battuta per far tornare tutto come prima. 

L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato qualche tempo fa al Supermercato Bennet quando, dopo aver parlato del più e del meno, simo riandati al passato e soprattutto al nostro maestro Redana, al quale anche dopo tanti anni ci legava tanto affetto e riconoscenza, e la cui figura è rimasta per noi indelebile nelle pagine della nostra giovinezza. 

Enrico, pur orgoglioso di averlo come amico, l’ho sempre invidiato, una sana invidia la mia: era uno che, se si impegnava, riusciva bene in tutto, era un ragazzo fenomeno sia a giocare al pallone che nel suonare la fisarmonica. 

Alcune volte, il maestro, sapendo del suo dono musicale, invitava Enrico a portare il suo strumento, suonandolo in classe, facendo rimanere noi ragazzi estasiati, a bocca aperta. 

Partecipava anche al festival di musica dilettantistico all’oratorio maschile, concorso giovani artisti e immancabilmente vinceva, noi suoi compagni a fare il tifo. Col suo buon livello raggiunto, negli anni ‘60 partecipò al concorso musicale, sempre per dilettanti, nel periodo in cui la nostra amministrazione comunale organizzava la fiera agricola di ottobre, venendo premiato come migliore dei giovani. 

Enrico entrò nei complessi musicali dei “Batmani” composto dai manerbiesi Luciano Ruggeri e i fratelli Fiorini, che allora localmente andavano per la maggiore. Inoltre Enrico con l’amico e coscritto Giorgio Penocchio fondò una band, “The Dynamit”, con alcuni amici di Borgosatollo che ripercorrevano i successi dei grandi autori stranieri come Elvis Presley, Little Richard e un po’ di rhythm and blus, fino al servizio militare. Al ritorno la band ha proseguito ancora per tre o quattro anni poi si è dedicato alla famiglia. 

Per parecchie stagioni Enrico giocò a calcio in alcune categorie di dilettanti nei campi ad undici giocatori e anche nei tornei notturni degli oratori, dato che era molto ricercato per il suo fiuto del gol e per il tiro forte e preciso. 

Alla fine della carriera calcistica ha allenato un squadra che partecipava al torneo del CS, portandoli alla vittoria del campionato in quegli anni. 

Una cosa che faceva impazzire noi ragazzi, era quando si andava a suonare le campane del nostro campanile della Parrocchiale, che si trovava nei pressi della sua casa. 

Il campanaro era lo zio di Enrico, quindi eravamo privilegiati, ma dovevamo stare molto attenti ai segnali dello zio, che ci indicava come e quando tirare la corda che ci era stata assegnata. Sostenuto da altri suoi amici, Rico, oltre che un grande amico dimostrò di essere un grande uomo di famiglia, dedicandosi in modo amorevole alla moglie Giacomina e al figlio Fabrizio con la sua amata nipotina Delia e le care sorelle. 

Ora posso dire che Enrico è rimasto per ben settant’anni nella mia vita, quasi silenziosamente, per uscirne nello stesso modo. 

Rivolgendomi ora a lui direttamente, col pianto nel cuore, posso solo dirgli: “fai buon viaggio, amico mio, e che questo mio pensiero, insieme a quello dei tuoi famigliari e di tutti i tuoi numerosi amici ti possa accompagnare per sempre nella nuova vita, nel nuovo mondo, che ti sta accogliendo. Ciao Rico.

Luigi Andoni