Oggi viviamo nell’era globale. Il mondo cambia a velocità siderale: siamo sempre on-line, sempre connessi grazie ai nostri computer, smartphone e tutti gli annessi. Il pianeta corre, corre parecchio: quel che oggi e nuovo, domani è già vecchio. Vedo ragazzi con il capo chino camminare per strada col telefonino. Senza di esso non ci sanno stare. Ore e ore intenti a chattare: digitano compulsivi, sembrano felici su Instagram e Twitter, vantando migliaia di amici. Gli osserviamo e pensiamo a tanti anni fa, quando avevamo la loro stessa età.

Adesso impazza la mania di Facebook, mentre i nostri social erano l’oratorio e la piazza. Erano gli anni ’70, con chiome copiose, baffi, basette, compagnie numerose, la radiolina incollata all’orecchio perché le partite cominciavano tutte alle tre. L’oratorio per noi era il posto perfetto, con il bar situato sotto il palazzetto, e quando qualcuno combinava un bel guaio, dal bancone partivano le urla del Caio. Era frequentato da tanti ragazzi: trovavi il bambino e il laureato e quando qualcuno inseriva la moneta gracchiante nel jukebox, il disco partiva.

 Domenica pomeriggio era per noi l’occasione che rappresentava libertà e trasgressione: andare alle Cupole era di rito, raggiunte quasi sempre facendo il dito. A quei tempi, poi, nessun patema, dal momento che il lavoro non era assolutamente un problema: finite le scuole non ti fermavi perché, in un modo o nell’altro, qualche impiego lo rimediavi.

Quasi tutti facevan giornata, pranzo veloce e via d’ infilata: il cerimoniale pagano andava a buon fine e ci si trovava tutti sulle panchine. Fino all’una e mezza parlavam di ogni cosa, del calcio, dei motorini, della morosa, con il sole, la pioggia, la nebbia mal sana lì in Piazza Italia con la fontana. 

A questi nostri appuntamenti mancavan solo i più “intelligenti”, quelli che in treno o in torpedone la mattina partivan per andare a lezione. Forse ci sbagliamo, ma una volta lo studente aveva più rispetto del corpo docente e, se veniva bocciato, pagava dazio ma non si appellava al T.A.R. del Lazio. Sono stati bei anni, siamo sinceri, spiriti liberi e cuori leggeri, ma quel che rammentiamo con più soddisfazione era quel sentimento di grande inclusione. Aleggiava dovunque, sprizzava energia, si entrava in simbiosi con ogni compagnia; si scambiavano esperienze, si facevan battute, talvolta si finiva con grandi bevute. Ancora oggi che non siamo più “gnari” di quel tesoro siamo depositari e possiam dichiarare, senza trucchi né inganni, signori miei, formidabili quegli anni!

Ivan, Angelo e Graziano